Profondo blu. Come quello della notte dei tempi, quando l’universo ebbe origine, e quello con cui immaginiamo il futuro. È questo il colore che pervade di fascino e mistero “Deep Blue – Cianotipi di biodiversità artificiale”, la mostra fotografica di Olmo Amato in corso a Roma, alla galleria 28 di Piazza di Pietra, fino al 15 gennaio 2024.

Le neo-piante di algoritmi IA e blu di Prussia
Una simbiosi tra intelligenza artificiale e natura con cui l’artista, neurobiologo, fotografo pluripremiato e filmmaker, ha realizzato un erbario fantastico. Oltre 50 fotografie raffiguranti forme di vita ibrida, specie immaginarie che fondono apparati elettronici, processi fungini e neo-piante. Immagini sintetiche che nascono dagli astratti meccanismi di calcolo dell’IA per riscoprire la dimensione fotografica attraverso una tecnica analogica che risale all’800. La cianotipia, dove la metafisica dell’algoritmo ridiventa viva e materica incontrando la luce e la carta.
Il nome scelto da Amato per il progetto, che s’ispira alle micrografie della botanica e fotografa Anna Atkins, non è casuale. “Deep Blue” è infatti il nome del calcolatore IBM che nel 1997 sconfisse, in una storica partita a scacchi, il campione del mondo Gary Kasparov. E “deep blue” è il colore legato all’IA, che si basa sul deep learning, l’apprendimento automatico da cui originano le forme generative. Ma il blu intenso richiama anche un colore dalle lontane radici. Il blu di Prussia, pigmento che in fotografia si otteneva attraverso la cianotipia, antico processo di stampa ai sali di ferro.
Organico e artificiale: la sfida del futuro
Una sperimentazione artistica, quella di Amato, che spariglia le carte tra arte e scienza, confondendone i confini e obbligando il visitatore a riflettere sulle sfide che ci attendono. “Il tipo di relazione che instaureremo con la tecnologia e con l’intero ecosistema – spiega l’artista – rappresenterà la chiave per il futuro della nostra specie”. L’affascinante connubio tra analogico e digitale, organico e artificiale, sovverte la nozione tradizionale di fotografia interrogandosi al contempo sul mondo che si prefigura.
Le specie ibride di “Deep Blue” creano una biodiversità artificiale per osservare un fenomeno già reale. Quello delle macchine sempre più evolute che imparano a interagire con la natura e a integrarsi con essa. Nella realtà, infatti, l’IA è già usata in campo biologico per ricerche che combinano organico e inorganico. L’arte di Amato indaga i possibili scenari di una ‘collaborazione’ tra IA e forme di vita che popolano il pianeta: una relazione cooperativistica e circolare che del resto è presente in natura. Non a caso i cianotipi in mostra sono tutti racchiusi in un cerchio, un rimando sia all’occhio del microscopio che alle piastre di Petri, tipici supporti per la coltivazione delle cellule in laboratorio. E anche l’allestimento delle opere è pensato come un circuito di relazioni biologiche. Immaginando una nuova e avvincente era in cui la vita del pianeta possa essere migliorata dalla creatività umana e dal potenziale sconfinato della tecnologia.