Premessa
L’ellisse temporale che aggancia il 7 aprile 1927 al 23 giugno 2024, da un fotogramma all’altro, ci mostra, con abile meta-découpage, come queste due date, separate da quasi un secolo di storia, dell’umanità e della settima arte, siano accomunate da una proiezione epocale: quella della versione integrale del Napoleone, per voi, visto da Abel Gance.
Il maestro dell’avantgarde francese girò, con un budget da capogiro, un kolossal dedicato al condottiero corso dalla durata di nove ore. Questa versione fu chiamata Apollo. Successivamente lo stesso regista decise di montarne una seconda – di cinque ore – intitolata Opera. I due esperimenti portarono Abel Gance a concepire la versione definitiva della pellicola: 427 minuti, sette ore e sette minuti epopeici.
La versione fortemente voluta da Gance fu un disastro, nessun cinema era interessato a proiettarla, non soltanto a causa del minutaggio proibitivo, quanto per le richieste del regista: l’ultima mezz’ora doveva essere proiettata su tre schermi simultaneamente, mediante tre proiettori, così da mostrare Napoléon nella sua forma perfetta: il Polyvision, formato inventato in occasione delle riprese del film (equivale a un aspect ratio di 1:4).
Varie versioni del film sono state rilasciate nel corso dei decenni, persino una da meno di tre ore, stuprando definitivamente l’opera di Gance. Qualche giorno fa, per iniziare al meglio il festival Il Cinema Ritrovato di Bologna, la Cynémathèque Française, in collaborazione con il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna, hanno proiettato la prima parte di Napoléon, con il titolo Napoléon vu par Abel Gance.
Il lunghissimo processo di restauro in 5K è stato supervisionato dal maestro Costa Gavras, novantunenne, che lo ha presentato definendolo “il più grande film francese di sempre, forse il più grande film della storia del cinema”. Come dargli torto.
La recensione
Quella di Napoléon vu par Abel Gance è stata una delle singole proiezioni più importanti dell’intera storia del cinema: il capolavoro di Gance, il primo vero kolossal della storia, finalmente ha visto la luce, in una versione clamorosamente rivitalizzata, da un punto di vista della risoluzione.
Ogni fotogramma sembra essere il frutto di un vero e proprio miracolo, di recupero audiovisivo, ma non solo. La potenza sprigionata da ogni scena della vita, in fiction, del fu imperatore di Francia, è semplicemente incontenibile, al punto da schiacciare gli spettatori contro le proprie poltrone, come colpiti dalla folata di un uragano.
La forma perfetta del kolossal francese ci mostra sin dai primi trenta minuti di narrazione, la portata monolitica del prodotto: il Napoleone raccontato nel film affronta gli stessi eventi tipici del percorso del supereroe, più che seguire i canoni del viaggio dell’eroe.
Napoleone è descritto come un ragazzino ribelle, incapace di relazionarsi agli altri e che per conferire un senso alla propria esistenza di emarginato, indossa mantello e cappello da condottiero, come se fosse il Peter Parker di Stan Lee e Steve Ditko, nerd che ascende a eroe, una volta indossati i panni di Spider-Man.
Non manca poi la presentazione dei villain, sempre per ragionare sull’immaginario supereroistico: Robespierre viene presentato con un cartello (nel quale è indicato anche il nome dell’attore che lo interpreta), subito dopo, un suo primo piano: occhiali da sole, parrucca platinata, sguardo impassabile. Sembra Andy Warhol.
L’eroe corso, nell’atto centrale del film apprende la notizia più inaspettata: la sua natia Corsica sta per essere ceduta alla corona britannica. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso, spingendo Napoleone a entrare in gioco: salvare la sua famiglia dal perfido invasore mette in moto la vita militare del futuro condottiero.
In questa prima parte del Napoléon vu par Abel Gance il percorso drammaturgico farà sorridere i fan di Dune, notando similitudini tra l’evoluzione di Paul Atreides e quelle del Napoleone interpretato da Albert Dieudonné. Due “deboli” chiamati alla responsabilità: da salvatori di un popolo, diverranno sovrani, poi divinità drogate di potere.
Tutto l’idealismo del giovane Bonaparte plagia il film, che si interrompe al termine della Battaglia di Tolone, che sancisce l’inizio della sua scalata al potere.
Soltanto il primo atto gli vale un posto d’onore nella storia del cinema. Il racconto dell’infanzia del protagonista ci anticipa velatamente quello che sarà l’avvenire. C’è profetismo, indubbiamente, diegetico e non, siccome Napoléon, con qualche decennio di anticipo, inventa il canone supereroistico.
Immancabili i rimandi ad Ejzenstejn e Griffith, maestri di Gance, che omaggia quest’ultimo con un inseguimento a cavallo, al quale mancano soltanto i cappucci del KKK per diventare la copia carbone del (purtroppo) fatidico Nascita di una nazione (1915).
In molti potranno immaginare, non avendolo mai visto, che il Napoleone di Gance sia, come a continuare la tremenda tradizione dei sopracitati Griffith ed Ejzenstejn, un film di propaganda. La risposta, risiede nell’ultimo epico atto del film. La battaglia finale non fa altro che sminuire la bellezza estetica della violenza, comprimendo la crudeltà grafica della guerra.
In trincea si soffre, ci si ammazza e basta, non c’è spazio per moti d’orgoglio e buffonate ideologiche: si perde sangue a fiotti, niente di più. Antibellico, più che reazionario. Questo è Napoléon vu par Abel Gance, in attesa, di ammirare il suo splendido protagonista tramutarsi lentamente in un tiranno sanguinario.
Servirebbe un altro articolo per raccontare tutta la grandezza dell’opera, ma per ora ci limiteremo a queste parole. Magari, ne riparleremo quando il film arriverà in sala anche nel resto della penisola, si spera in autunno.