Il grande ritorno dello xenomorfo sul grande schermo questa volta, non passa per Ridley Scott, che figura soltanto come produttore. Una compartecipazione che lascerebbe, in via teorica, presagire un tentativo di “ritorno alle origini” della saga. Quindi mettendo il regista Fede Alvarez (La casa, Man In the dark) nelle condizioni di annullare la propria creatività, dedicandosi alla messa in scena di un film di Alien che omaggi (e basta) l’Alien di Scott.
Ribadiamo però un concetto vitale: in via teorica. All’atto pratico, Alien: Romulus è un’esperienza fanta-horror indimenticabile.
La fantascienza
I protagonisti del film costituiscono un gruppo – tanto per cambiare – in viaggio verso una stazione spaziale in rotta di collisione, dalla quale sperano di poter rubare delle capsule criogeniche, per potersi ibernare durante il tragitto necessario a raggiungere un nuovo sistema solare.
Sono capitanati da un’ottima Cailee Spaeny (Coppa Volpi a Venezia 2023), che qui interpreta Rain Carradine, un’orfana alla quale è rimasto soltanto il fratello, Andy, che è un androide, programmato da suo padre.
La colonia spaziale distopica, presentata da Alien: Romulus ricalca, più che Alien, il Blade Runner di Ridley Scott. Il sistema sul quale vivono i protagonisti prima di intraprendere il viaggio, è sovrappopolato, sprofondato in povertà. Le miniere sono la fonte di guadagno più remunerativa, ove la maggior parte degli “adulti” (intesi come “genitori”) lavorano sino alla morte.
Essere orfani, nello splendido film di Fede Alvarez, è la normalità. Tutto il mondo è orfano, in un certo senso. Il gruppo di ragazzi protagonisti affronta la quotidianità con la bava alla bocca, alla costante ricerca di un escamotage per abbandonare il loro sistema solare, talmente inquinato da aver generato una cortina di smog così fitta da non far trasparire la luce del sole.
Una terra senza luce naturale, che racconta, neanche troppo velatamente, lo stato del cinema, che è luce. La luce, motore immaginifico della Settima Arte, non è altro che un orpello artificioso, lontano dal suo stato di natura.
Il conflitto tra naturale e artificiale, è ossigeno per la narrazione tra le righe del film sceneggiato da Alvarez e Rodo Sayagues. L’infantile Andy, prenderà il comando della spedizione, assumendosi la responsabilità di decisioni razionali (seppur drastiche) in grado di portare il gruppo al raggiungimento dell’obiettivo.
Di fatto, imposta il pilota automatico. E quando lo fa, la minaccia dello xenomorfo inizia a non sembrare più tale, risulta quasi un copione letto e riletto, prevedibile. Il film scivola sui binari dell’horror (e che horror) nel momento in cui il pilota automatico viene disattivato.
La naturalezza dell’errore, l’improvvisazione, nel tentativo di sopravvivere a una minaccia, dà origine alle sequenze action/horror in assoluto più creative, spettacolari.
L’orrore
La forza sovrumana che il film di Alvarez sprigiona, deriva dalla rielaborazione delle simbologie del mito di Alien. Soprattutto nell’evocare in forma esplicita (da qui la scelta di distribuirlo come vietato ai minori di 14 anni) le allegorie espresse in forma para-sessuale dai film precedenti. Ad esempio, nel mostrare gli assalti da parte dei face-hugger (i crostacei che si attaccano ai volti degli ospiti per fecondarli), qui dipinti come atti di violenza sessuale.
La fecondazione, come atto dedito al progresso di una razza, è centrale nella riflessione orrorifica di Fede Alvarez (vedi il perverso terzo atto del suo Man In the dark). In Alien: Romulus la fecondazione dei face-hugger (e l’ormai consolidato parto, protagonista di uno dei momenti più scioccanti della storia del cinema dell’orrore, nel film originale) qui viene raccontata in parallelo (e non solo) a una gravidanza tradizionale.
Risalgono a galla come pezzi di legno dubbi antropologici, esistenziali, già presi in analisi da Prometheus e Covenant, i prequel della saga. Stabilire il sacro confine tra gli uomini e il divino: dove termina la libertà progressista dell’uomo? Quando l’evoluzione della specie a tutti i costi raggiunge un punto di non ritorno, un momento in cui nulla è più lecito?
Le risposte, potete scoprirle al cinema, nel quinto atto (sì, quinto atto) sconvolgente del film di Fede Alvarez, che si scopre essere, giunto al quarto lungometraggio, grande autore di genere.