Nella serata del 19 maggio, Julia Ducournau (seconda donna della storia ad aver vinto la Palma d’oro, grazie al suo TItane nel 2021) ha presentato davanti ai 2.200 spettatori del Grand Theatre Lumière Alpha, il suo terzo lungometraggio.
Il film è ambientato in un tempo indefinito, a metà tra un passato con elementi ucronici e un futuro distopico. L’elemento fantascientifico che impone le regole del proprio gioco è un virus, ben lontano dal Covid-19 raccontato da Eddington, altro film in concorso a Cannes.
Il virus di Alpha trasforma i contagiati in statue di marmo, lentamente. Si tratta di un presupposto straordinario, per il film della Ducournau, che racconta un mondo, il nostro, pronto a punire i suoi abitanti facendoli tramutare in materia, calcificando il contenuto del corpo, rendendolo di fatto un oggetto d’arredamento. Il marmo poi, materiale pregiato, associabile al mercato immobiliare: un’idea di metamorfosi degna di una fiaba classica (l’uomo che, al termine della fiaba viene punito o premiato con una metamorfosi che ne annulla/ne ripristina le caratteristiche naturali).
Protagonista della storia è però la giovane Alpha, tredici anni, figlia di un’infermiera scissa tra due emergenze cliniche: da un lato, quella del virus che sta affollando i reparti di terapia intensiva in ospedale, dall’altra la tossicodipendenza di suo fratello Amir, costantemente a un passo dall’overdose.
La regista di Titane, mescola le carte per questo suo ritorno in grande stile a Cannes, mettendo da parte gli elementi horror dei lungometraggi precedenti. L’orrore in Alpha non è grafico come al solito, ma è realistico, comprensibile e tangibile. Ciò che prende piede è il melodramma, genere che Ducournau aveva già affrontato nell’atto centrale di Titane.
Col finale di Titane, nella mitologica scena del parto, Julia Ducournau, concettualmente, faceva nascere il cinema del futuro: un ibrido, di generi sessuali e cinematografici. “Come sarà il cinema del futuro?” si domandava Titane. Il cinema del futuro sarà fluido, in termini generazionali e generali.
Difatti, Alpha, racconta l’idea di cinema del futuro della regista: un melodramma con elementi horror e distopici, ambientato in un futuro prossimo a un passo dal collasso climatico (il film si apre e si chiude con una scena ambientata in una cittadina francese desertificata) in cui un virus sta marmorizzando gli uomini. Un futuro in cui inoltre è impossibile crescere. La giovane Alpha viene bullizzata perché perde sangue da una ferita infetta, come se quel sangue fosse un mezzo di contagio per il virus. Chiara allegoria di un terrore, quello del nostro mondo, nei confronti della trasformazione del corpo femminile che si fa adulto (la perdita di sangue ne è la messa in scena grafica).
“Maternità” è una parola chiave nel cinema di Ducournau. In questo nuovo film, la maternità sta in una scelta: decidere chi voler accudire. Sarò la madre di mia figlia, il cui corpo sta cambiando, o sarò madre di mio fratello, un tossicodipendente che cerca di lasciarsi andare una volta per tutte?
La soluzione, sta nella simbiosi: accettare l’idea di dover tornare a un rapporto di viscere e di sangue con una figlia e con un fratello, una messa in scena pratica del concetto di “essere sangue del mio sangue”.
Il film ha ricevuto inoltre dodici minuti di standing ovation, diventando il film “più applaudito” del settantottesimo Festival di Cannes.