A tre anni dalla vittoria di Parasite agli Oscar 2020, l’ondata di film sudcoreani distribuiti in Italia torna a far parlare di sé. Il 2 febbraio Decision to Leave è arrivato finalmente in Italia, dopo l’enorme successo conquistato in patria prima e negli Stati Uniti poi.
Undicesimo lungometraggio di finzione del sudcoreano Park Chan-wook, già autore del celeberrimo Old Boy e del meraviglioso I’m a Cyborg, but That’s OK, ha vinto il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes lo scorso maggio.
Decision to Leave è un insolito noir che vede protagonista Jang Hae-joon, un detective della polizia di Busan che soffre di insonnia, ossessionato dalla risoluzione dei casi di omicidio assegnatigli. Song Seo-rae, vedova di uno scalatore morto in circostanze misteriose, stravolgerà le prospettive di vita del detective.

Un noir al contrario
Il film di Park è sorretto per 150 minuti da pilastri ancorati al suolo da tempo immemore. Decision to Leave attinge dalla drammaturgia di un immaginario ben preciso, quello del noir classico americano, da opere quali Il Grande Sonno di Howard Hawks e L’Infernale Quinal di Orson Welles.
La struttura classica del noir incarna il proprio animo in due figure ricorrenti che vivono un rapporto di tensione continua: il detective e la dark lady, che in italiano può essere inteso come “donna del mistero”.
L’opera di Park Chan-wook affonda i propri denti nella succulenta carne del genere investigativo, rimodellandolo al servizio di un racconto di “formazione in età avanzata”. Non è di certo una novità nella storia del cinema, basti pensare al capolavoro di Nanni Moretti, Bianca.
In Bianca il detective viene sostituito di fatto dal carnefice (Nanni Moretti/Michele Apicella), soffermandosi sul confronto tra quest’ultimo e la dark lady (Laura Morante).
Non è quindi una coincidenza che il protagonista di Decision to Leave ricordi molto un punto d’incontro tra Moretti e Humphrey Bogart: un investigatore al servizio delle sue paranoie.
Secondo la morfologia classica del noir, in letteratura come al cinema, l’investigatore è condotto alla risoluzione del caso dall’attrazione per la donna del mistero, come ammaliato da un profumo sensuale.
Al contrario in Decision to Leave il mistero da svelare è legato alla misantropia e alle ossessioni del protagonista. Non c’è un assassino da smascherare. Nemmeno un ideale di giustizia da rivendicare a ogni costo, ma un uomo le cui abitudini non fanno altro che alimentarne l’annichilimento.
Song Seo-rae è per Jang Hae-joon la “decisione di lasciare” a cui fa riferimento il titolo, la decisione di abbandonare le proprie convinzioni, svestendosi gradualmente degli abiti dell’investigatore, metaforicamente abbandonando le proprie ossessioni in cerca di genuinità.
Il doppio
La donna che visse due volte è senza ombra di dubbio l’ispirazione principale di Decision to Leave. Park sceglie di adottarne la sinuosità e l’ambiguità, due concetti in perenne lotta nel film di Hitchcock.
Il suo erede coreano, in più, rielabora il concetto del doppio presente in molte pellicole del maestro britannico. La donna del mistero al servizio di Park Chan-wook viene portata dagli eventi a mutare pelle, reggendo la propria precaria esistenza su menzogne e artefatti.
Fingere di essere qualcun altro, reprimendo la propria identità. L’opera tesse fili invisibili attorno a questa idea, concedendo allo spettatore di percepirli solo a livello subliminale.
Decision to Leave probabilmente verrà percepito da molti spettatori come un marasma di tecniche di ripresa e atteggiamenti sopra le righe, un trionfo della vacuità. Questo per via della sua estetica anticonformista, scontrosa per un pubblico che dai film pretende linearità.
Soprassedendo per un istante a un linguaggio fuori dai canoni convenzionali però, può ammirare il cuore dell’opera. E’ un racconto strampalato sull’imperfezione. Su come rischi di tramutare gli uomini in ombre. Tutti in cerca di una ragione per vivere al meglio, di un motivo per abbandonarsi al fascino degli altri.