L’esordio alla regia di Molly Manning Walker, How to have sex, è stato distribuito in una manciata di sale italiane a inizio febbraio. Con qualche difficoltà, anche noi siamo riusciti a vederlo. Si tratta di uno dei film più chiacchierati dello scorso Festival di Cannes e, detto francamente, si fa fatica a comprendere da cosa derivi cotanto clamore.
Tre amiche, Tara, Em e Skye, neo diplomate, sono in vacanza a Creta. L’isola greca pullula di loro connazionali, britannici costantemente su di giri. Nel resort dove alloggiano, le tre fanno la conoscenza di un altro gruppo, nel quale spiccano due fanciulli: Badger e Paddy, nomi degni di un film di Danny Boyle.
La vicenda, in sostanza, ruota attorno alla paura di Tara rispetto alla scoperta del sesso. Passa buona parte della vacanza a scegliere tra Badger, apparentemente un tenerone, e Paddy, la messa in scena più esemplare del maschio assetato di sesso occasionale.
Il grosso pregio dell’esordio della Manning-Walker sta nella rappresentazione della Gen-Z. La regista è una classe ’93, qui però racconta la generazione immediatamente successiva alla sua, ovvero i ventenni del 2023. Il film lascerà un grosso senso di déjà-vu per buona parte dei suoi novanta minuti a tutti quelli che, ogni estate, frequentano mete balneari in vacanza con gli amici.
La musica assordante dei locali, le spirali di luci al neon, gli occhiali da sole alle quattro del mattino. Tutti gli elementi che compongono l’ecosistema della “vacanza mediterranea” sono tasselli fondamentali nella costruzione del mondo narrativo di How to have sex.
I problemi tuttavia, risiedono nella scrittura. Innanzitutto, buona metà di film barcolla, (proprio come i suoi protagonisti, perennemente ubriachi) tentando di attribuire un senso alle immagini caotiche dei locali cretesi. Lo spazio necessario a raccontare qualcosa viene individuato dalla regista e sceneggiatrice soltanto alla metà della pellicola. Il “qualcosa” in questione è l’abuso sessuale, che è, concretamente, il main topic del racconto.
Il vero disastro di How to have sex, senza spoilerare troppo, risiede nel messaggio conclusivo dell’opera, che dovrebbe (e deve) chiudere il cerchio rispetto alla sensibilizzazione verso l’abuso sessuale. Il messaggio in questione, messo in bocca al personaggio di Em è vergognoso. Non cerca di creare un legame protettivo e/o empatico nei confronti della vittima e anzi, non fa altro che spingerla ancora di più a colpevolizzare sé stessa.
Il nobile intento di Molly Manning-Walker, fa talmente tanto il giro da diventare detestabile, in un racconto che punta in dito contro lo stupratore, salvo poi giudicare la vittima pochi minuti dopo. Come nel caso di Holy Spider, uscito l’anno scorso, si sta facendo passare per progressista un film che in verità tende a delle accezioni ben più reazionarie.