Premiato nella sezione Orizzonti Extra dell’ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia, La testimone è il nuovo lungometraggio del regista, sceneggiatore e produttore iraniano Nader Saeivar. Noto ai più per il suo sodalizio con Jafar Panahi (che ha co-sceneggiato e montato La testimone), per il quale ha scritto Tre volti, premiato a Cannes nel 2018, oltre ad aver prodotto il suo ultimo film Gli orsi non esistono (qui la nostra recensione dalla Mostra del Cinema di Venezia 2022).
Un racconto troppo edulcorato
Nel caso de La testimone, tuttavia, ci troviamo al cospetto di un prodotto mediocre, rispetto alle ben più apprezzabili collaborazioni tra Saeivar e Panahi di cui sopra. Il film, in uscitia il 31 ottobre nei cinema italiani, racconta della misteriosa sparizione di Zara, un’insegnante di danza che si rifiuta di indossare lo hijab. Seguiamo i fatti dal punto di vista di Tarlan, madre adottiva di Zara, convinta che suo marito, un uomo violento della “Teheran bene” sia coinvolto nella sparizione.
Il film di Seivar purtroppo, sembra essere stato concepito col solo scopo di compiacere i gusti del pubblico occidentale. Ragion per cui, il film chiuderà la sua tenitura in sala con un buon risultato di pubblico. Le strizzate d’occhio al pubblico occidentale, che la realtà sociale dell’Iran contemporaneo può solo assaporarla attraverso notiziari, rotocalchi e articoli, iniziano a farsi notare sin dai primi istanti.
Nei primi minuti di film, una passante, inanellando una serie di “spiegoni”, appostata fuori l’auto di Zara, inizia a spiegarle didascalicamente, perché andare in giro coi capelli scoperti sia un oltraggio alla cultura mussulmana. Analogamente, varie trovate di messa in scena passano per un’enfasi posta sulle divergenze culturali tra donne e uomini di mezza età e i più giovani. Su tutti, la nipote della protagonista, ragazzina che sembra quasi non vedere – neanche alla lontana – i difetti di fabbricazione di una Teheran oltraggiata dal regime e dall’esaltazione del potere maschile.
Un prodotto commercialmente perfetto
Il racconto di tre generazioni di donne, ne La testimone, si rivela valida, nell’ottica di un prodotto che, commercialmente, rientra a pieno nel filone del cinema “G-local”. Nel quale elementi propri di una cultura, si confondono con elementi e temi universalmente riconoscibili. A conti fatti, potremmo parlare de La testimone come di un titolo confezionato magistralmente, nell’ottica di una campagna “anti-regime” destinata a un ampio pubblico.
Non si tratta, sia chiaro, di un titolo appartenente al macro-filone del cinema popolare, contrariamente a Leila e i suoi fratelli, altro titolo iraniano del 2023. Rientra, al contrario, nel filone di Holy Spider di Ali Abbasi: un racconto “Made In Teheran”, destinato a un pubblico disinteressato a scoprire qualcosa di nuovo, nella forma, nello sguardo sul mondo. Piuttosto che sull’emotività, di un mondo nuovo.