Babygirl è l’unico film targato A24 presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia è una debacle epocale per la casa di produzione statunitense. Il terzo lungometraggio di Halina Rejn, con protagonisti Nicole Kidman, Antonio Banderas ed Harris Dickinson è una poltiglia pseudo-erotica, che vorrebbe tanto fare del femminismo la propria bandiera, sventolandola ai venti del Lungomare Marconi al Lido di Venezia.
Questo però, è possibile soltanto nei sogni mitomani della regista tedesca. Fantasia, difatti è una parola chiave nell’osceno Babygirl. Nicole Kidman interpreta Romy, la CEO di un’azienda che si occupa di fabbricare robot che sostituiscano la manodopera umana, così da semplificarle la vita.
Viene definita un genio, tutti tessono le sue lodi, lei stessa si considera una “badass” in grado di scalare i monti sino alle loro cime più alte, con un solo schiocco di dita. Laureata a Yale, nel giro di cinque anni ha aperto la sua azienda, tramite la quale ha scalato le ripide gradinate del potere.
L’assunzione di un provocante stagista, Simon, la porterà a intraprendere una relazione erotica con quest’ultimo, nella quale poter dare spazio alle proprie fantasie più oscure, innescando il diabolico plot di Babygirl.
La ricerca di una sintonia d’intenti, una sinfonia che leghi menti e corpi dei due amanti, è soltanto apparente: con l’evolversi del ménage, lo scettro del potere pende dal lato della bilancia di Simon, il servo. La padrona, Romy, finisce per essere ridotta a un animale da passeggio, un oggetto sessuale, in grado di ricercare il piacere soltanto attraverso la sottomissione.
A più riprese si allude a una presunta ricerca di una sessualità nuova, volenterosa di ristabilire il confine lecito delle fantasie erotiche. La totale incapacità di comprendere a fondo le rappresentazioni sessuali da parte della Rejn, porta la sua pellicola a fare il giro, passando quasi, a tratti, per un lavoro vagamente discriminatorio.
Un pelino misogino, nell’accezione in cui la donna viene vista come incapace di mantenere un rapporto professionale, come se fosse lì, pronta ad aspettare la prima provocazione buona, per far vacillare il proprio autocontrollo. Una donna di potere che non può vivere senza il proprio “master”, il proprio dominatore sessuale. Senza la sottomissione, senza sentirsi schiava, non riesce a esistere. Una visione del mondo tremendamente reazionaria e umiliante.
La resa pietosa delle dinamiche erotiche tra la Kidman e Harris Dickinson è confermata poi, da una tendenza che ha fatto da file rouge tra le due proiezioni stampa dedicate a Babygirl: risate sarcastiche da parte del pubblico tutto, scatenate da momenti di inenarrabile trash.
La regista ha dichiarato in conferenza stampa di come per lei il film parli della distanza che vi è tra l’orgasmo femminile e quello maschile. A conti fatti, questa dichiarazione studiata a tavolino per figurare tra i virgolettati di qualche articolo, può essere rimodellata ai fini critici: Babygirl di Halina Rejn racconta la distanza che vi è tra la sua regista e un’idea sana di femminismo.