“Sono diventato morte, il distruttore di mondi”. Dopo lo sgancio della Bomba A sul suolo giapponese, J. Robert Oppenheimer testimoniava con queste parole tratte dal Bhagavad Gita il suo ricordo di quegli attimi interminabili. C’era stato il Trinity Test, il primo bombardamento atomico controllato della storia.
Quasi ottant’anni dopo, Christopher Nolan edifica la propria opera biografica partendo proprio da quelle parole desolanti: un monumento sul valore della scoperta e sul dilemma etico che ogni grande invenzione porta con sé, questo è Oppenheimer.
Nell’attesissima opera del regista britannico l’epopea del “Padre della Bomba Atomica” viene accostata a più riprese al mito di Prometeo. L’uomo che, nel tentativo di sostituirsi a dio, viene condannato alla sofferenza eterna.
Il film segue a due segmenti narrativi paralleli, alternandoli: quello lineare, incentrato su una narrazione ritmata e completa dei fatti relativi al Progetto Manhattan, prima, durante e dopo. La seconda linea narrativa invece racconta degli strascichi che il peso del senso di colpa morale ha inflitto sul fisico statunitense negli anni a venire.
Il racconto di cronaca storica messo magistralmente in scena, propone un’articolata staffetta lunga 180 minuti, portando lo spettatore all’interno dello sguardo e dell’inconscio di Oppenheimer, così da entrare letteralmente nelle sue visioni.
Un uomo che fa fatica a ricongiungersi con la propria umanità, poiché condannato a guardare oltre le cose, a differenza “degli altri”. Il Robert Oppenheimer interpretato da Cillian Murphy si definisce un “teoretico”, in grado di comprimere le idee in soluzioni pratiche, plasmando l’astratto in concretezza. Ma la teoria può portare soltanto fino a un certo punto. Con queste parole “Oppie” cerca di legittimare la costruzione della bomba omettendo ogni responsabilità sulle conseguenze che avrà sul mondo.
Nolan racconta di un uomo di scienza in grado di guardare olte la materia. Il vuoto che la completa assume una forma fisica, tangibile, nella mente di Oppenheimer.
Il travagliato processo che portò alla costruzione della bomba viene mostrato quasi come un tentativo disperato dell’uomo e dello scienziato di mostrare a sé stesso e al mondo come le sue visioni possano essere tramutate in realtà, per quanto apocalittica.
Il concetto di dualismo è centrale nella drammaturgia adottata da Nolan. In un gioco di sottrazioni e semplificazioni, potremmo affermare che Oppenheimer rincorre per 180 minuti un’idea che, in filosofia, è vecchia proprio quanto il mondo: un conflitto tra gli opposti. Prometeo contro il “Divino”, le asettiche sequenze girate in bianco e nero contro la vulcanica fotografia a colori della restante parte del film, l’esplosione della bomba contro l’implosione dell’antieroe.
Il Trinity Test, il bombardamento di Hiroshima, contro il dopoguerra. Esplosione contro implosione. La bomba che ha cambiato il mondo è quella che ha portato un uomo a trascorrere il resto dei suoi giorni con le mani inzuppate di sangue, macbethianamente.
Il film nella sua interezza può essere rappresentato come un sentiero di mattoni gialli che conduce Prometeo/Oppenheimer alla metamorfosi: proprio come il dio Vishnu nel Bhagavad Gita, Oppenheimer si sostituirà alla morte, per centinaia di migliaia di innocenti, vittime del mito di progresso.