Past lives, esordio alla regia di Celine Song racconta, prendendo spunto dalla vita della stessa regista e sceneggiatrice, l’incontro di due bambini, ora adulti, nati a Seoul, più di vent’anni dopo essersi perduti. Lei, la bambina, ora adulta, è Nora, emigrata a dodici anni in Canada con i genitori. Lui, il bambino, mai cresciuto, è Hae Sung, che è rimasto in Corea.
La prima regia della Song mette in evidenza un paio di elementi chiave, che preannunciano un futuro radioso. La sua concezione degli spazi domestici, piuttosto che degli esterni, denota una chiarezza di idee visive di rara maturità. Sceglie sempre i punti macchina perfetti per osservare i suoi personaggi, mai troppo distante, sufficientemente lontana da lasciar loro spazio e ossigeno.
Nel cinema di Celine Song il montaggio non è mai troppo invadente, concede ai personaggi di rimanere fossilizzati sulla stessa inquadratura anche per la lunghezza di un intero dialogo. Per un’esordiente, la tentazione di affidarsi ai tagli per conferire un ritmo vivace al dialogo è una tentazione che quasi sempre viene accolta. La Song al contrario osa, porta avanti un’idea di messa in scena coerente dall’alba al tramonto dell’opera.
Past lives tuttavia non è esente da errori da matita rossa, anzi. La pellicola risulta, nella sua quasi totalità, un racconto puerile troppo fiacco e ordinario per poter reggere un intero lungometraggio.
Una nozione che accomuna molti manuali di sceneggiatura (nonché molti docenti della suddetta materia) è quella secondo la quale le storie personali che riteniamo essere speciali, per un pubblico di migliaia di spettatori, potrebbero risultare consuete.
Celine Song sembra commettere proprio questo errore basilare, “da scuola calcio”. I suoi protagonisti, francamente, non sono mai caratterizzati, nemmeno vagamente. Per carità, usare i propri personaggi come burattini al fine di raffigurare qualcosa di “molto più grande” è una scelta condivisa persino dai grandi maestri, vedi Pasolini. Nel caso di Past lives sembra più che questo aspetto sia sfuggito all’autrice.
L’incontro dopo due decenni tra i due eterni bambini è un tipo di avvenimento figlio della cultura dei social media. I due si ritrovano su Facebook nei primi anni 2010, come per praticamente molti di noi. Facebook nasce proprio con l’intento di ritrovare i propri ex colleghi di liceo/università ormai perduti da anni.
Anche qui, storie ordinarie, travestite da epopee omeriche.

Quel che rimane di Past lives è un mucchio ridondante di “concetti di vita” e speculazioni sulle esistenze precedenti, piuttosto che sui presenti alternativi.
La stessa regista nelle varie interviste rilasciate, ha dichiarato che il suo è “un film sui multiversi ma senza i supereroi”. Francamente, questo virgolettato fa più pensare a una manovra di marketing, che non a una reale definizione della sua opera. Past lives non parla di multiverso, ma solo di speculazioni sentimentali, francamente molto infantili.
C’è più multiverso nell’ultima mezz’ora di La La Land (chi deve capire, capisca) che non in centosei minuti di Past Lives.
L’esordio alla regia di Celine Song lascia ben sperare per il futuro (d’altro canto, il secondo album è sempre più importante del primo), a patto che si concentri maggiormente sullo straordinario. Il cinema è questo: diffondere una variopinta nube di fantasia in un mondo grigio, che è la nostra realtà.