Nel 1971, a Hexham, nel Regno Unito, due fratelli, Colin e Leslie Robson, trovano due rocce che, se osservate bene, hanno le sembianze di volti umani, con due forellini per gli occhi e un solco poco sotto a comporre un ghigno, come fosse uno smile.
Le due rocce, una volta portate in casa, portarono con sé una scia di fenomeni paranormali, come il manifestarsi di figure antropomorfe nel cuore della notte e lo schianto di bicchieri di vetro contro le pareti, sebbene nessuna presenza visibile li stesse toccando. La più classica delle storie horror sul filone del poltergeist-tale (Il “racconto delle presenze invisibili”), che gli amanti del genere assoceranno con ogni probabilità alla saga di The conjuring o a quella di Insidious (gli amanti dei classici forse staranno pensando a Poltergeist di Tobe Hooper).
Hexham Heads, co-regia di Chloe Delange (video-artist al suo esordio cinematografico) e Mattijs Driesen, entrambi belgi.
Lo splendido horror a firma Delange-Driesen testimonia splendidamente la convivenza tra queste due sfere, video-arte e cinematografia. Driesen porta al cortometraggio il suo amore per il genere, che si rifà, per sua stessa ammissione, a John Carpenter, ad Halloween in particolare, dal quale “ruba” gli stilemi alla base dell’horror/slasher d’interni, in cui i protagonisti vivono nella costante impressione d’essere circondati dal nemico, che diventa entità.
La Delange al contempo, porta in questo riuscitissimo contesto di coesione creativa il suo odio per l’horror anni ‘2010. Nel corso del Q & A al termine della proiezione ha dichiarato, testualmente: “Ho visto Annabelle qualche tempo fa. Mi ha fatto schifo”. In questa dichiarazione risiede in senso critico dell’opera.
Hexham Heads riflette aspramente sul passato decente dell’horror, della piega meramente commerciale, schiava del jump-scare che ha messo in ombra progetti autoriali, molti dei quali non sono neanche mai stati prodotti a causa della “bulimia da trash” del settore.
L’esperimento di Delange-Driesen si avvale di una voce fuori campo nei primi minuti di film che racconta un sogno al pubblico, nel quale una ragazza viene inseguita da un’ombra, lungo una scalinata, al termine della quale, c’è una stanza con al centro un letto matrimoniale, sul quale vede sé stessa distesa, ma osservando attentamente… ci sono anche le due rocce maledette, poggiate su un comò.
Subito dopo averlo raccontato in forma orale, i due registi decidono di mostrarci nuovamente la scena del sogno, senza però commentarla con una voce fuori campo. Questa volta parlano soltanto le immagini, che sono fotogrammi fissi, da qui l’incrocio tra cinema e arti fotografiche.
Se da un lato Mattijs Driesen racconta il declino del genere horror da un punto di vista industriale, dall’altro Chloe Delange tesse il controcampo, fatto di esperimenti meta-visivi e sonori. Le due teste protagoniste del film, sono i due autori, sono arrivate per creare scompiglio, negli animi degli spettatori, nell’industria cinematografica e nel genere horror, che sta finalmente tornando a vedere la luce.
La camera oscura (DARK-ROOM) protagonista di gran parte del cortometraggio, illuminata di rosso (REDRUM, à la Shining) è teatro di nascita, quella degli scatti analogici di una ragazza che ci viene mostrata soltanto attraverso il particolare degli occhi.
Il rosso della camera oscura è genesi, fotografica, visiva, in senso lato. Il rosso racconta al contempo una dimensione di comfort. Quella dell’altro personaggio che intravediamo nel film. Un muratore che indossa un berretto di lana (indovinate di che colore), intento a modellare delle rocce col cemento armato, ancora liquido, con le fattezze delle due teste.
Che sia uno dei due ragazzini che nel 1971 trovarono le rocce originali? Che il ricordo di un incubo si sia col tempo addolcito, risultando quasi oggetto finito della malinconia? Le immagini lasciano pensare a questo, con l’uomo che fa colazione in una tavola calda, con le due Hexham Heads tra le mani, compiaciuto (indovinate di che colore sono le pareti della tavola calda).
Il testo di Chloe Delange e Mattijs Driesen ha una valenza cruciale nel contesto critico legato al genere horror, chissà se anche le alte sfere della critica cinematografica se ne accorgeranno, se qualcuno deciderà di distribuire questo gioiello. Al contempo però, Hexham Heads sceglie, nel suo atto conclusivo, di soffermarsi sul valore della memoria spiritica, capace di insidiarsi in oggetti inanimati, come bambole assassine, tavolette in legno e piccole rocce, per l’appunto. Nella speranza, di poter far ritornare tra i viventi, la memoria invisibile di ciò che non ha più forma, one last time, once again, parafrasando il film.
Noi possiamo invitarvi a vederlo su MYmovies One, piattaforma partner della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, che ospiterà Hexham Heads sulla sua piattaforma, insieme ad altri film del concorso principale, fino al 22 giugno.