Tagliamo la testa al toro: Avatar – La via dell’acqua a parte, possiamo considerare Spider-Man: Across the Spider-Verse come l’esperienza da sala cinematografica più sorprendente vista negli ultimi anni.
Molti spettatori tendono a etichettare l’animazione come un genere per bambini, precludendosi la possibilità di scoprire opere dallo spessore tecnico e/o drammaturgico eccelso.

Il sequel di Spider-Man: un nuovo universo
Il nuovo Spider-Man non fa eccezione. Sebbene si tratti del sequel di Spider-Man: Un nuovo universo del 2018 il gioiellino targato Sony Pictures Animation non ha niente da invidiare al suo predecessore, anzi.
L’audacia dell’opera sta nella scelta di spogliarsi dei panni indossati nel capitolo precedente, per tessere da zero un nuovo abito, migliore o peggiore, questo è un aspetto irrilevante. Siamo al cospetto di qualcosa di diverso, un azzardo, questo è quel che conta.
I cinque anni di lavorazione che separano i due film si fanno sentire. Ogni fotogramma dei 140 minuti di durata trasuda dedizione e qualità artistica encomiabile.
Per decenni si è cercato superficialmente di creare un punto di incontro tra fumetti e cinema provando a utilizzare il fotogramma come la tavola di un comic, quasi sempre purtroppo si è giunti a un punto di collisione invece.
Il processo di traduzione da un medium all’altro richiede uno sforzo maggiore, oltre a dei compromessi da accettare.
Spider-Man: Across the Spider-Verse ne è pienamente consapevole, mostrando al pubblico in sala un’opera che eredita tematiche, composizione visiva, archetipi narrativi e consapevolezza estetica dall’immaginario degli albi a fumetti.
In Spider-Man non si ricorre al fan service gratuito, si cerca, al contrario, di comprendere a fondo i messaggi che si stanno cercando di veicolare, psicanalizzando con ponderatezza i propri personaggi, con un approccio sorprendentemente realistico.
Le relazioni umane presenti nel film sono verosimili (per non dire realistiche), risultando ben più convincenti di quelle che si possono trovare in film d’autore o presunti.
Tutto è accentuato dallo stile di animazione di turno, che accompagna passo dopo passo i personaggi attraverso le proprie sfide e i propri dilemmi: colori ad acquarello che sgorgano dalle pareti, grattacieli capovolti che danno percezione della piccolezza dei protagonisti davanti alla moltitudine degli universi.
Prova definitiva per i più scettici che l’animazione è un medium a sé stante, in grado di assorbire e metabolizzare generi cinematografici, conferendo loro una forma nuova.
Guerra all’algoritmo
Sarebbe superfluo (nonché complesso) parlare della trama del film senza cadere in spoiler, possiamo limitarci solamente ad analizzare.
Un messaggio che l’opera diretta da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson nasconde sottopelle risulta essere una tenera dedica d’amore verso la Settima Arte, nonché un atto politico nei confronti dell’industria dell’intrattenimento, incarnato dai due Uomini-Ragno protagonisti del racconto.
Nel corso del film Miles Morales, protagonista indiscusso, nelle vesti di un moderno Prometeo, affronta Miguel ‘O Hara, alias Spider-Man 2099, lo Zeus della storia.
Generazioni a confronto, divergenze di visioni, forme di conservazione della vita e attaccamento alla suddetta. Due mondi si scontrano, incarnati dai due personaggi.
‘O Hara controlla l’algoritmo del Multiverso, affinché tutto vada come deve andare, accettando passivamente la volontà del destino. Al contrario Miles rifiuta il proprio fato e tenta di esserne artefice in prima persona.
Algoritmo, standard, monotonia, passività… tutto rimanda alle piattaforme streaming, il cinema da “vivere” direttamente dal divano di casa. Un sistema produttivo che crea contenuti con lo stampino, identici tra loro. Miguel ‘O Hara/Spider-Man 2099 è l’industria cinematografica terrorizzata dal rischio, dall’assumersi responsabilità.
Miles Morales è la ribellione, la creatività, la voglia di ribellarsi all’algoritmo: Miles è il cinema, il cinema in sala. Artigianale, imperfetto, speculativo.
L’opera targata Sony Pictures Animation non è soltanto una ventata d’aria fresca per l’animazione e il cinema di supereroi, ma è, soprattutto, un chiaro messaggio in supporto di una creatura che agli occhi di molti inizia a sembrare mitologica: la sala.