Ci si lamenta troppo spesso, senza cognizione di causa, della mancanza di novità nel cinema blockbuster. Disney ha creduto fortemente insieme a Searchlight Studio in The creator. Si tratta del nuovo progetto di Gareth Edwards, che nel 2015 aveva sorpreso l’industria col suo Rogue one, senza sé e senza ma la miglior opera tratta dal nuovo ciclo del franchise di Star Wars.
The creator è un progetto originale scritto dallo stesso Edwards, un’opera di fantascienza che affonda le proprie radici nell’immaginario cyberpunk classico, in particolare da Akira e Blade runner.
In un futuro distopico il mondo è in guerra. Gli Stati Uniti sono in lotta contro le intelligenze artificiali (non sono altro che replicanti à la Blade runner), ormai indipendenti dagli uomini e organizzati militarmente per poter rispondere alla minaccia.
Il sergente Taylor (John David Washington), ex spia sotto copertura, accetta la proposta dell’esercito di tornare sul campo di battaglia nel sud-est asiatico per risolvere l’enigma della scomparsa di sua moglie, leader delle IA.
L’epopea sci-fi di Edwards si presenta come un trattato sulla fratellanza che può essere instaurata tra gli uomini e le proprie creazioni. L’aspra critica alla sottomissione insita nella cultura egemonica e militare statunitense fa da motore per la storia.
Nel corso del film lo spettatore accompagna Taylor attraverso i due mondi, quello umano prima, quello degli androidi dopo. In questa maniera ci permette di comprendere grazie a esperienze pratiche le motivazioni perverse che guidano l’esercito all’eliminazione dei diversi.
Le IA di The creator creano una propria oasi nella “Nuova Asia” (così chiamata nel mondo del film, equivalente a Laos, Cambogia e Vietnam), sono un popolo pacifico che desidera vivere in prosperità, senza mirare alla distruzione del genere umano.
Il discorso dietro al film è palese. Tenta di tranquillizzare il proprio pubblico (e il mondo intero) rispetto al panico da IA che stiamo vivendo negli ultimi mesi, vedi le motivazioni dietro il lungo sciopero di sceneggiatori e attori di Hollywood.
L’intelligenza artificiale di Edwards ha acquisito, in un certo senso, di voler costruire il proprio mondo su ideali di fratellanza e di sana convivenza col diverso.
L’unico pericolo, spiega The creator, è l’uomo con la sua paura delle ombre e delle fiamme, è così dal principio. Gli umani temono ciò che creano, poiché consci di non poter tenere la “creatura” in gabbia per sempre.
Allegoricamente le “macchine” sono gli immigrati. In un dialogo tra Taylor e una ragazza che non vedremo più, lei sostiene che le IA abbiano organizzato un attacco terroristico ai danni degli Stati Uniti e che “ci rubano il lavoro”. Vi ricorda qualcosa? Perfetto.

La vera protagonista del film tuttavia, è una bambina, una androide che Taylor ribattezza Alfie. Alfie è l’unica possibilità di salvezza per la lotta delle IA contro gli usurpatori occidentali.
Senza entrare in zona spoiler, la bambina è il prodotto dell’egoismo malato di un popolo in lotta per la propria indipendenza, nonché di due genitori disfunzionali. Come in Evangelion, volendo trovare altri rimandi all’immaginario delle distopie.
Perché creare un’arma con le sembianze di una bambina? Soprattutto, perché concederle la possibilità di sviluppare una coscienza e una visione del mondo? Una condanna emotiva è insita in Alfie, andando avanti nel corso della storia questa si gonfierà a dismisura fino a renderla una “bambina vera”, obbligandola a crescere prima del tempo.
Certo è che l’universo creato da Gareth Edwards non ha l’autenticità dei suoi predecessori cyberpunk, è anzi assai dichiaratamente derivativo in quanto a design. Le campagne ricordano Apocalypse Now (stesse location), mentre le città si rifanno ad Akira e al più recente Cyberpunk 2077.
Al netto di questo, The creator chiude il proprio breve arco narrativo confermandosi una delle rivelazioni del 2023, mandando un segnale importante all’industria. Le idee originali sono pronte a invadere le sale, bisogna soltanto trovare il coraggio di abbandonare i franchise consolidati. O quantomeno evitare di dar loro così tanto spazio.