Un uomo di circa duecentocinquanta chili è chiuso in casa da un tempo indefinito, probabilmente da anni. Consumato dai rimpianti, cerca di redimersi nei suoi ultimi giorni di vita, riallacciando i rapporti con la figlia.
Con questo presupposto kafkiano Darren Aronofsky, regista de Il Cigno Nero e The Wrestler (Leone d’Oro a Venezia 2008), torna al cinema, a cinque anni di distanza da Madre! del 2017.
Fin dalla prima proiezione del film alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia The Whale è stato accolto positivamente della critica internazionale. Chi tra di voi ha avuto il privilegio di assistere alla prima in Sala Grande ricorderà come quella sera il Lido di Venezia si sia allagato per le lacrime versate dal pubblico.
La pellicola è tratta dall’omonima pièce teatrale di Samuel D. Hunter, autore della sceneggiatura del film. Questa informazione viene suggerita allo spettatore già dopo pochi minuti: la storia di Charlie (interpretato da Brendan Fraser) è una parabola discendente verso la morte che non lascia intravedere spiragli di redenzione. Questo concetto viene enfatizzato silentemente da Aronofsky grazie alla claustrofobica ambientazione del film: uno squallido appartamento trasandato, proprio come il suo proprietario.

Due anime: Kafka e Melville
I pochi spostamenti che Charlie compie sono per lo più dal divano al bagno, piuttosto che alla stanza da letto, dove si reca solo di rado. In un certo senso il pubblico è costretto a guardare il film da un unico punto di vista: quello del divano sul quale Charlie sprofonda. Tutti gli spettatori che sentono la mancanza del divano quando sono al cinema non hanno di che preoccuparsi.
La scelta di girare in formato 1.33:1 (per intenderci, il quattro terzi del tubo catodico) congiunta alla presenza fisica ingombrante di Charlie, riportano la mente all’angoscia tipica delle opere di Franz Kafka. Prendendo in prestito il suo racconto più celebre per trarne un esempio, ne La Metamorfosi il protagonista Gregor Samsa si risveglia al mattino tramutato in un insetto gigante.
È chiuso in camera sua, candidamente steso a pancia all’aria sul suo letto. Le quattro mura che lo tengono confinato lo schiacciano nella sua autocommiserazione, relegandolo alla propria mostruosità fisica. Il pomello della porta d’ingresso lo terrorizza, teme la reazione che gli altri potrebbero avere guardandolo in quelle condizioni.
Analogamente in The Whale conosciamo Charlie in un momento (apparentemente) casuale della sua vita, senza conoscerne il passato. Proprio come ne La Metamorfosi il lettore viene condotto direttamente al cuore dell’azione, sin dalle primissime parole.
Dal punto di vista dello spettatore è come se Charlie si fosse appena risvegliato tramutato nella Balena Bianca che tormenta il Capitano Achab. Nel film si fa esplicitamente riferimento a Moby Dick. Il rapporto tra Charlie e sua figlia Ellie (Sadie Sink) è tenuto in vita proprio dal romanzo di Melville, che sorregge, moralmente, il timone della nave in tempesta.
Brendan Fraser nell’interpretazione della vita
Tutti gli elementi appena elencati aiutano la star canadese a esprimersi al massimo delle proprie capacità. È da sei mesi che questa frase titola migliaia di articoli, scritti da Melbourne a Tokyo: “Fraser regala la performance della vita”.
Al netto di una scarsa inventiva titolista, c’è un fondo di verità.
Brendan Fraser mette il proprio dolore e le proprie insicurezze di genitore in questo personaggio. Un uomo che viene costantemente ferito da ogni persona o cosa che lo circondi, a eccezione della sua amica Liz (Hong Chau). Come sepolto vivo, Charlie si dimena nel tentativo di tornare alla luce, pur consapevole di aver raggiunto il capolinea.
È un docente di letteratura, un uomo dannatamente sensibile che tiene le sue lezioni in videochiamata pur di starsene nell’ombra, è terrorizzato dall’idea di venire allo scoperto, come un insetto.
Charlie chiede costantemente scusa, alla sua amica, alla sua ex moglie, a sua figlia. In un certo senso chiede scusa di essere vivo, consapevole di essere un “oggetto di troppo”.
Con l’avanzare dei giorni la sua pelle si schiarisce, fino a diventare bianca come un lenzuolo. Sembra quasi farsi più ruvida, come quella di un cetaceo.
Con l’ultimo suo grido da animale, Charlie diventa Moby Dick, si trasforma nella sua ossessione (proprio come Achab), in quella creatura maledettamente evocativa, l’unica cosa che riesce a tenere in vita il rapporto con sua figlia.