Gli eroi imperfetti sono quelli che funzionano di più, quelli con cui il pubblico riesce a empatizzare con naturalezza. L’assassino protagonista del nuovo film di David Fincher rientra in questa categoria.
Tratto dalla serie a fumetti omonima, The killer racconta la storia di vendetta di un sicario “punito” dai suoi superiori dopo aver fallito un incarico per un grosso cliente. La storia può essere riassunta così, non c’è troppo altro da aggiungere, poche chiacchiere, tanta azione.
Il protagonista interpretato da Michael Fassbender è uno stereotipo vivente, un uomo legato visceralmente alla violenza che vive con apatia la propria professione, nonché la propria esistenza. È un taciturno, la sua visione nichilista del mondo risiede nella sua testa, il pubblico ne viene a conoscenza con monologhi interiori che colorano di grigio il film dall’inizio alla fine.
Il “killer” senza nome sembra uscito da una sceneggiatura di Paul Schrader, come Il collezionista di carte o Taxi driver, un tentativo di imitazione quantomeno. Fin dalle prime sequenze è impossibile non farsi un’idea del genere del protagonista, siccome questa dichiarazione drammaturgica è fin troppo esplicita.
Fassbender sembra Ryan Gosling in Drive, non si relaziona mai col prossimo, agisce e basta. È vincolato a un affetto, che rappresenta la motivazione drammatica dietro al suo percorso di violenza e vendetta.
Al netto di ciò, The killer convince per messa in scena. C’è poco da dire, Fincher sa rendere dinamico qualsiasi scenario e questo film non fa eccezione.

Manca una cosa però: non si capisce quale sia realmente il tema del film. Le motivazioni che spingono il personaggio a compiere la sua personale crociata vengono giusto accennate, mentre i temi affrontati sono pochi e circoscritti alla visione del modo del personaggio. Il suo mondo interiore non si scontra mai con quello esterno, salvo un paio di eccezioni.
L’assassino si ripete in continuazione di “attenersi al piano” e di “non improvvisare” salvo poi realizzare come il piano non riesca mai a combaciare con la realtà. Questo è l’unico spunto di riflessione portato avanti da The killer nel secondo e nel terzo atto. Il primo resta quello più denso di contenuti grazie agli incessanti monologhi del protagonista, che, seppur stereotipati, raccontano una visione del mondo.
Ciò che lascia dentro l’ultima fatica di Fincher è tanta confusione. Da un lato ci sono delle superficialità drammaturgiche difficili da digerire. Dall’altro lato c’è però la volontà da parte del regista di decostruire il genere che lo ha reso leggenda, il thriller.
Non ci sono piogge incessanti come in Seven, l’assassino non è un individuo perverso che sta nascosto nell’ombra come in Zodiac e Panic room, non c’è in assoluto l’idea noir dell’investigazione, siccome le carte in tavola vengono immediatamente scoperte.
Il tentativo di reinventare la propria arte verrà sempre apprezzato, tuttavia The killer nello specifico riesce solo a momenti a rivendicare la propria “forza”.