April è la seconda regia della georgiana Dea K’ulumbegashvili, già autrice di Beginning del 2020. Arriva per la prima volta alla Mostra del Cinema, in concorso, con un dramma incentrato sul diritto all’aborto in una regione rurale del suo paese.
Lo stile della K’ulumbegashvili si rifà all’amato e odiato filone dello slow-cinema, quella frangia di cinema d’essay dedito ai tempi dilatati (spesso dilanianti), all’asetticità delle interpretazioni e alla contemplazione della natura. Nel voler guardare con ammirazione ai maestri del filone, Lav Diaz, Béla Tarr o Andrej Tarkovskij, April risulta una dolce – ma fallimentare – copia carbone delle filmografie a cui si riferisce.
Giudicare la messa in scena della giovane autrice risulta imbarazzante il più delle volte, sicché si ha l’impressione di star posando gli occhi su un prodotto amatoriale, o quantomeno tremendamente incosciente nel voler guardare al cinema con radicalità. Le composizioni (la regista adotta un gratuito formato in 4:3) sono forzate, le entrate e le uscite di scena degli interpreti li fanno risultare arruginiti, poiché vincolati agli spazi asfissianti delle inquadrature.
Innumerevoli i passaggi del film che risultano quasi dei video ASMR, in cui la regista dedica piani sequenza anche di cinque minuti soltanto per inquadrare, per dire, uno stagno bombardato da un’intensa pioggia. Giusto per il vezzo di far ascoltare suoni naturalistici al pubblico in sala, avvalendosi dell’ottima acustica dei cinema del Lido di Venezia.
Il disastro inopinabile insito in April tuttavia, sta nell’immaturità con cui Dea K’ulumbegashvili incrocia realismo crudo a momenti surreali. L’indigesta ciliegina sulla torta avvelenata è la rappresentazione della femminilità inscenato da April. La rivoluzione di genere, che avanza a pieno regime oggi, settembre 2024, sembra non interessare alla regista, che anzi, nei suoi deliri di superamento della realtà, mostra la sua donna come un corpo in putrefazione, senza volto. Didascalico? Molto. Fuori tempo massimo? Decisamente. Facilmente travisabile? Proprio così.
Ma d’altro canto, la regista è ferma ad April, deve farne di strada per arrivare a September.