Siamo ormai alle battute finali dell’ottantunesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia: nella giornata di sabato 7 settembre il palmares verrà svelato e con esso, l’attesissimo vincitore del Leone d’Oro al miglior film.
La giuria presieduta da Isabelle Huppert, è formata da nomi di spicco del cinema d’autore: Giuseppe Tornatore, James Gray, Andrew Haigh, Agnieszka Holland, Kleber Mendonça Filho, Abderrahmane Sissako, Giulia von Heinz e Zhang Ziyi.
Da regolamento, la voce più autorevole in sede di “spoglio dei voti” è quella della presidentessa. Dunque, per intuire quali potranno essere le decisioni di questo splendido ensamble di giuria, dobbiamo ragionare su Isabelle Huppert. IL volto del cinema d’essay europeo, la Huppert ha preso parte a più di 150 progetti in quarantacinque anni di carriera, alternando autoriale a commerciale, senza soluzione di continuità. Una democristiana dell’editoria cinematografica. Per intenderci, un Leone d’Oro a Joker: Folie à Deux non è da escludersi, considerando l’apertura mentale della presidentessa.
Chi però potrebbe spuntarla e annoverare in bacheca il Leone d’Oro, è Luca Guadagnino, sarebbe il primo italiano a vincere dopo Gianfranco Rosi per Sacro GRA nel 2013. Il Queer di Guadagnino (leggi a questo link la nostra recensione in anteprima) ha la carica melanconica e narrativamente prorompente necessarie a convincere una giuria così folta e dai pareri radicali. Sarebbe inoltre il doveroso riconoscimento per il figliol prodigo della Mostra, ormai alla sua quinta partecipazione in concorso (vinse due anni fa il Leone d’Argento per Bones and All).
Attenzione però a Pedro Almodovar, con La stanza accanto. Il suo è il titolo più apprezzato dai “top critics” della stampa italiana, con una media voto di 3,8. Per Almodovar sarebbe la prima vittoria a un festival, dopo più di quarant’anni di onorato servizio. Si tratterebbe, dobbiamo ammetterlo, di un Leone d’Oro alla carriera, in quanto il film, seppur sublime, non rappresenta nulla di inedito nella già complessa e sfaccettata filmografia del maestro.
Il terzo candidato è The brutalist di Brady Corbet, da molti considerato il vero capolavoro della Mostra di quest’anno. Con i suoi 215 minuti di durata, potrebbe spuntarla per l’audacia con cui racconta le derive del materialismo statunitense del dopoguerra, avvalendosi di un retaggio analogo a quello del cinema della Hollywood classica.
Fanalino di coda per I’m still here, film che non ha coraggio da vendere, diretto da Walter Salles. Il racconto di un desaparecido, un dissidente socialista in Brasile negli anni ’70, visto dalla prospettiva di sua moglie, ha in sé tutti i temi necessari a mettere tutti d’accordo (qui la recensione).
Come ogni anno però, il Leone d’Oro potrebbe essere assegnato a sorpresa a un “titolo minore”, che in caso di divergenze tra i membri della giuria, potrebbe accontentare tutti. Per fare un nome, Vermiglio di Maura Delpero, Babygirl di Alina Reijn o proprio Joker: Folie à Deux di Todd Phillips.