Un impiegato viene liquidato dopo vent’anni di servizio dalla nuova dirigenza della fabbrica per cui lavora, una cooperativa statunitense. “Non abbiamo altra scelta”, così l’eroe viene liquidato dal suo nuovo datore di lavoro, un usurpatore venuto da occidente. Lo si vede in una singola inquadratura, di profilo. Non ha volto, quasi.
L’impiegato perderà tutto, dalle due auto alla casa, passando anche per la disdetta dell’abbonamento a Netflix. Un sistema disumanizzante, quello della neo-industrializzazione del settore terziario, in cui la macchia rimpiazza l’uomo, lo umilia e lo cancella.
L’eroe non ha altra scelta, se non quella di cercare un nuovo posto di lavoro, eliminando la concorrenza. In senso letterale. Con No Other Choice Park Chan Wook racconta in una commedia grottesca a tinte da trilogia della vendetta (Mister Vendetta, Lady Vendetta, Oldboy) i nuovi miserabili, lavoratori rimpiazzati da macchine (intelligenza artificiale), costretti a misurarsi con scrupoli morali insormontabili.
Nella commedia di Park, il protagonista si riterrà costretto ad assassinare i quattro candidati a un nuovo posto di lavoro come manager, che hanno più probabilità di lui, curriculum alla mano, di ottenere l’ambito impiego. L’eroe (interpretato dalla star di I Saw the Devil e Squid Game Lee Byung Hun), imparerà sequenza dopo sequenza a diventare un perfido assassino, quello della peggior specie: un calcolatore.
In No Other Choice la perdità dello status quo si traduce in una perdita della virilità (il protagonista, perde i baffi subito dopo il lavoro, per poi riacquisirli nell’epilogo della storia) che può essere rileggittimata solamente attraverso l’atto (artistico, per parafrasare il documentario di Joshua Oppenheimer The act of killing) dell’omicidio.
Il cinema di Park Chan Wook è stato nelle sue prime vette (quelle della sopracitata trilogia) un modello artistico in cui formalismo e drammaturgia sociologica – passando attraverso il genere del revenge movie – partorivano creature cinematograficamente perfette: opere di genere in cui la violenza risulta essere l’unico possibile rimedio a un mondo e a una Corea del Sud in piena crisi di valori.
Se oggi Park decide di raccontare una storia di vendetta che passa per un sistema capitalistico, evitando che l’omicidio diventi qualcosa di personale tra vittima e carnefice, è perché il decennio in corso ha depotenziato la figura dell’uomo virile, quantomeno ha iniziato a metterla – inevitabilmente – in discussione. Per dominare, lavorativamente, socialmente e sessualmente, l’eroe deve tornare a essere Uomo.
La metamorfosi dell’impiegato assetato di vendetta, viene vissuta anche dalla struttura stessa del film, che passa dalla commedia grottesca (à la Mario Monicelli) al revenge movie, tipico del primo cinema di Park.
CI sono vincitori in una storia del genere? Assolutamente no. Forse uno. La famiglia, che riacquisisce il suo status attraverso nefandezze indicibili. Ma a che prezzo? Il finale di No Other Choice è quanto di più grigio ci possa essere, con un uomo soddisfatto del suo nuovo impiego, costruito su una foresta di cadaveri sotterrati, mentre è circondato da macchine.
Prima o poi, le macchine lo sostituiranno ancora. L’intelligenza artificiale, suggerisce al pubblico che il successo del protagonista, è effimero. È un cane che si morde la coda, un eterno ritorno applicato all’esistenzialismo del proletariato.
Park Chan Wook gioca un campionato a parte, un maestro indiscutibile. Il suo, è il vero film imperdibile della Mostra del Cinema numero 82.












