Benny Safdie, dopo acclamati lavori curati insieme al fratello Josh (ora impegnato nella postproduzione di Marty Supreme con Timothée Chalamet), torna in solitaria dietro la macchina da presa per raccontare la storia del lottatore Mark Kerr, pioniere e poi leggenda delle MMA.
Il film, in concorso a Venezia 82, vede nel ruolo del protagonista un inedito e sorprendente Dwayne Johnson (in cui il nickname The Rock riemerge visivamente solo nel’ultimo atto, in una trovata dal sapore metacinematografico geniale per ironia) e Emily Blunt in quello della compagna di Kerr, Dawn Staples – personaggio complesso, tormentato e scostante, risolto dall’attrice con espressività (mirabile il lavoro sulla voce) e raffinatezza.
Ciò che stupisce di questo bellissimo film è la regia di Safdie. A tratti appare distaccata e dedicata quasi più all”osservazione oggettiva dei personaggi, anziché al giudizio morale su di loro (in pieno stile mumblecore delle origini), a volte più immersiva (si veda l’uso dello zoom, mai eccessivo virtuosismo e sempre ancorato al senso drammaturgico del racconto). L’equilibrio tra osservazione critica e appassionato melò riesce a infondere nel film un irresistibile afflato malinconico, dovuto anche alle musiche rarefatte e sospese di Nala Sinephro e all’uso accuratissimo di brani non originali. È come se gli albori del mondo delle arti marziali miste – effettivamente ancora una sintesi spuria tra boxe e wrestling – fossero ammantati da una diffusa gentilezza e pacatezza (la stessa con cui Johnson interpreta brillantemente la smashing machine, un corpo fisso sempre trattenuto dall’esplodere in un potenziale violento movimento cinematografico) che, tuttavia, cela, come in ogni melò, drammi profondi (la dipendenza di Kerr dagli oppiacei e il rapporto tossico con Dawn).
La componente melodrammatica della pellicola è celata e svelata progressivamente, proprio come il corpo di The Rock (continuamente decostruito e ricostruito in termini di stardom), e basta anche solo una citazione a I 400 colpi (la meravigliosa scena della giostra-zootropio) per chiarire il rapporto tra i personaggi, una relazione sentimentale che passa innanzitutto da quella tra i loro corpi.
La rottura della quarta parete alla fine è poi lo sberleffo finale al mondo MMA di oggi, in cui la gentilezza e la grazia con cui Safdie dipinge i pionieri di questo sport sono ormai state fagocitate dalla violenza e dallo spettacolo del business.












