Un film fatto per Bene, in concorso a Venezia 82, segna il ritorno alla regia di Franco Maresco, uno dei grandi maestri del grottesco e del documentario italiano, a ben sei anni di distanza dallo strabiliante La mafia non è più quella di una volta (Premio Speciale della Giuria a Venezia 76).
Quando la produzione del film dedicato a Carmelo Bene viene interrotta dal produttore Andrea Occhipinti (fondatore di Lucky Red) per l’ennesimo incidente sul set, Maresco scompare nel nulla, lanciando l’accusa di “filmicidio”. L’amico Umberto Cantone parte dunque alla ricerca del regista, interpellando tutti quelli coinvolti.
La nuova opera del regista siciliano si pone come un mostro bifronte, a metà tra una critica spietata al sistema industriale e culturale del cinema italiano e una consapevolmente ironica operazione industry. Ciò che stupisce è la meschinità e la cattiveria con cui Maresco si scaglia contro i suoi nemici (esilaranti le scene contro Francesco Puma e Gigi Marzullo, tacciati di incompetenza e ignoranza): un’azione per ribadire il potere illimitato del documentarista, il quale, padrone del testo filmico, è libero di offendere impunito chiunque egli voglia, poiché nessuno dei bersagli colpiti può effettivamente replicare.
Eppure, oltre a essere un puerile capriccio (Maresco è l’unico autore a poterselo permettere senza affondare nella petulanza anti-industry), la pellicola è anche una lucida autoanalisi sulla persona e sulla carriera del regista. Attraverso la voce over di Cantone (interessante che la voce di Maresco abbia meno spazio rispetto ai film precedenti, in effetti più impegnati in senso civile e più satirici), il film viene abitato dai fantasmi del cinema del regista, dalle opere realizzate con Daniele Ciprì ai documentari più recenti, finanche includendo gli esperimenti di Cinico Tv. In alcuni momenti compaiono addirittura alcuni personaggi (su tutti l’ambiguamente ridicolo Ciccio Mira) dei film precedenti, quasi a mo’ di veri e propri easter egg.
Un film fatto per Bene si pone dunque come crocevia tra un ennesimo Otto e mezzo (che a distanza di più di sessant’anni si può definire ormai una vera e propria forma-cinema) e un nuovo Effetto notte, in quanto ci vengono mostrate le scene, seppur incomplete, girate da Maresco per il film su Carmelo Bene e ovviamente sono incredibili nella loro testimonianza del ritorno allo stile grottesco delle origini della carriera del regista.
In sintesi, un’opera semplicemente straordinaria nella sua poesia e nella sua dolcezza, nella sua asprezza e nella sua violenza. Un successo certificato dal poetico finale à la Brazil, dove il regista spicca il volo sulle parole di uno dei suoi attori non professionisti che, quasi più come una gag che un monito, ripete “Cinema, mai più!” (battuta “beniana” par excellence, al termine di un film formalmente molto “beniano”).
E allora se il cinema è davvero morto, Franco Maresco è più vivo che mai.











