Wonka è il prequel di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato del 1971, un classico intramontabile del cinema per famiglie. La giacca di velluto viola e il cappello a cilindro indossati da Gene Wilder nell’originale sembrano non essere invecchiati di un giorno in questo prequel del 2023 diretto da Paul King.
La storia del film si riassume così: Il racconto della serie di eventi che hanno portato Willy Wonka a diventare il re del cioccolato che tutti conoscono.
Timothée Chalamet indossa letteralmente gli abiti di un defunto, come se il film volesse suggerirci che certe iconografie non possono essere modificate o lasciate al passato. D’altro canto, il cinema industriale dell’ultimo decennio è giunto alla graduale conclusione che gli omaggi al cinema del passato e alla cultura pop/nerd debbano essere venduti come contenuti osé.
In un’intervista di pochi giorni fa James Gunn, ora direttore artistico dei DC Studios, ha sbottato contro la pratica della “pornografia del cameo”, ovvero la tendenza di farcire i film legati a franchise storici di riferimenti alle opere del passato idolatrate dal pubblico. Vedi il recente crossover delle tre generazioni di uomini-ragno in Spider-Man: No Way Home.
Costume di Willy a parte, Wonka si inserisce per lo più nella categoria della nostalgia canaglia, soprattutto nel tentare di ricreare le atmosfere musical del film originale, con scarsi risultati. Complice, va segnalato, un lavoro di adattamento in italiano dei brani musicali tremendo, quantomeno difficile da prendere sul serio.
Va segnalata un’ambigua scelta di scrittura. Nel film i rivali di Wonka sono tre cioccolatieri che non vogliono farlo entrare nel business. I tre contestano le innovazioni che il protagonista cerca di apportare alla preparazione dei suoi cioccolatini.
Willy Wonka è dipinto come un creativo ostacolato da tre uomini di mezza età iper-conservatori, contrari alla sperimentazione, proprio come le major hollywoodiane di oggi. È una rappresentazione allegorica dell’industria, insomma.
Il paradosso è questo: un film prodotto da Warner mirato al successo commerciale che fa una ramanzina alle altre case di produzione? Un messaggio ipocrita, ecco cos’è.
Il tocco di pseudo-innovazione che il suo regista Paul King cerca di apportare sta nella comicità. L’autore delle serie di Paddington molto in voga negli ultimi anni, è anche autore della sceneggiatura di Wonka. Decide di rimpinzarla di british humor e gag visive cartoonesche, caratteristiche principali della sua cifra stilistica.
I fantomatici siparietti comici però non riescono spesso a risultare calzanti. Tendono anzi ad annullare la già di per sé caratteristica goffaggine dei personaggi del mondo della fabbrica di cioccolato. Lo stile dei romanzi di Roald Dahl d’altro canto è quello. Paul King tenta di sovrascrivere la cifra del romanziere britannico, immotivatamente.
Altro errore da matita rossa sono le coreografie delle sequenze musical molto poco ispirate. Al netto però di un buon lavoro del comparto luci e camera orchestrato dal maestro coreano Chung Chung-hoon.
Il vero motivo per cui Wonka merita di essere rivisto (possibilmente in lingua originale) è proprio il suo protagonista, qui nel consueto stato di grazia. Chalamet qui dà prova di saper reggere un film tutto sommato dimenticabile con un’interpretazione vergognosamente brillante. Soprattutto dà prova di sapersela cavare anche in un film iper-commerciale, rivolto per di più a un pubblico di pre-adolescenti.
Per quanto possa sembrare una blasfemia, sembra che Chalamet sia pronto a raccogliere un’eredità pesantissima affermarsi come il James Dean di questa generazione. Per citare Francesco Alò. Un nuovo stendardo della generazione hollywoodiana corrente (e di quelle a venire) e di una ribellione generazionale, ideologica, che si diffonde a macchia d’olio.