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Hayao Miyazaki è tornato, dopo un decennio, a ricalcare la fase più autoriflessiva della sua carriera. Dopo il precedente Si alza il vento, in cui la storia di un progettatore di aerei specchiava quella dello stesso Miyazaki, questa volta il maestro giapponese si rifugia in spazi più privati, per aprirli al pubblico.
Jiro, il progettista di Si alza il vento, insegue per tutta la sua vita l’obiettivo di realizzare i suoi sogni d’infanzia e costruire aerei perfetti. La disillusione però corroderà il sogno quando le sue creazioni verranno utilizzate come macchine da morte nella Seconda Guerra Mondiale.
Miyazaki, da sempre dichiaratamente Marxista, visse lo stesso senso di colpa etico nel convivere col successo commerciale delle sue opere. Parti di sé vendute in tutto il mondo come merci.
Si alza il vento racconta la storia di Miyazaki e dello Studio Ghibli. Al contempo Il ragazzo e l’airone racconta del suo rapporto con le dimensioni dell’ego attraverso lo scorrere del tempo. Il protagonista è Mahito, un ragazzino rimasto orfano di madre a causa di un incendio che viene condotto da un misterioso airone in una torre abbandonata che conduce a un’altra dimensione.
Gli spettri del dopoguerra, incarnati dal trauma della perdita del protagonista, violentano la realtà, mentre il mondo nascosto nella torre rappresenta una via di fuga da quest’ultima. Il mondo nascosto è amministrato dal prozio del protagonista, alter-ego di Miyazaki (ha gli stessi baffi di Kamaji de La città incantata, un altro alter-ego in scena del regista).
Il prozio crea delle torri con delle rocce che sono piccole pietre tombali, impilandole. Gioca con l’idea della morte per modellare delle illusioni. La torre traballa e serve un erede che continui a controllare il mondo al suo posto. Vuole che sia un consanguineo, quindi Mahito, a raccogliere l’eredità. Questi si rifiuta poiché a un mondo di illusioni preferisce perdersi nel mondo, come ha imparato durante tutto il corso dell’avventura.
Il rapporto tra l’anziano creatore e il giovane ribelle ricorda quello tra Miyazaki e suo figlio Goro, al quale cercò di lasciare in eredità lo Studio Ghibli una volta annunciato il ritiro. Il rifiuto di Mahito qui però viene accolto con un dolce sorriso dal prozio/Miyazaki, come a voler correggere il tiro ed essere, almeno nella finzione, un genitore migliore.

Alcuni personaggi del film subiscono mutazioni che li portano a incarnare delle proprie versioni in momenti diversi della propria esistenza. Lo stesso protagonista è sia padre che figlio, c’è tanto di Miyazaki in Mahito, a cominciare dall’ansia della perdita della madre, che il piccolo Hayao ha quasi perso da bambino a causa di una tubercolosi.
L’intraprendenza del giovane eroe ricorda quella dell’animatore negli anni della sua gioventù, quando portò l’animazione giapponese a un punto di rottura rivoluzionario.
Mahito si addentra in un mondo fatto di sogni e di follia, come gli universi dei film di Miyazaki. Mondo che imparerà ad ammaestrare, diventandone il dio, anche se qui il prozio è uno stregone.
Il cinema di Hayao Miyazaki mancava all’umanità per una ragione: senza di lui ci siamo dimenticati come fare a evadere dalla realtà. La fuga della realtà è nel cinema di Miyazaki il mezzo attraverso il quale trovare un proprio posto nel mondo della concretezza.
Col suo ritorno, almeno per 125 minuti, diversi milioni di spettatori potranno tornare a sognare a occhi aperti. Perché il cinema è l’unico mezzo che permette di vivere i sogni senza lasciare questa dimensione.
Il ragazzo e l’airone è la definizione di cinema.