Che a Sean Baker piacessero le cosiddette macchiette, per quanto concerne la scrittura dei personaggi, era un punto fermo ormai da anni, ben prima che girasse il suo (la sua) Anora. La differenza tra un buon film e un film dimenticabile, qualora il punto di partenza fosse il medesimo (un incipit mediocre), è data da un fattore: il modo in cui l’autore inquadra i suoi personaggi in rapporto al contesto di appartenenza.
Nel caso di Anora, ci troviamo dinanzi al “solito” film stereotipico di Sean Baker, per molti, uno dei maestri del cinema indipendente americano, al pari del primo Noah Baumbach e di Todd Solondz. I protagonisti del cinema di Baker sono per lo più figure-tipo della Los Angeles sottoproletaria, per quanto, alle volte, questi vengano trapiantati in aree geografiche anomale (vedi la New York di Anora, “conciata” come fossimo a Redendo Beach o Santa Monica).
Anora (o “Ani”) è una stripper che incontra, durante un turno di lavoro, il figlio adolescente di un oligarca russo, Vanja, diventando nel giro di pochi incontri la sua “prostituta esclusiva” prima, sua moglie poi, in seguito al più cinematografico dei matrimoni-lampo a Las Vegas. Il film di Baker parte da un presupposto scarno, essenziale quanto basta. Come un’anatra-coniglio, il volto di Anora implica due possibili chiavi di lettura relative al genere antipodiche: commedia e dramma. La chiave necessaria a sentenziare il genere d’appartenenza del film, viene fornita soltanto dalla clamorosa scena finale.
Le due chiavi di lettura coesistono sulla base degli stessi elementi, ambivalenti, nella decodificazione degli stilemi della commedia, piuttosto che del dramma. Il matrimonio della proletaria Anora, una sex-worker, col milionario russo, presuppone una struttura da rom-com, la cui aspettativa speranzosa viene però stroncata dall’ingresso in scena della famiglia di Vanja, determinata a risolvere il contratto matrimoniale tra i due. Qui subentra la componente melodrammatica: il decadimento del sogno americano, rinvigorito nei toni comici però, dalla presenza dei tirapiedi della famiglia di Vanja: T’oros, Garnik e Igor’.
Potremmo dunque affermare che in Anora sussiste un ribaltamento della rom-com, nella quale, stavolta, la componente fiabesca viene aspramente interrotta dalla realtà. Incarnata, se vogliamo, dal potere egemonico di alcuni russi trapiantati negli Stati Uniti che – per citare una frase fatta figlia del nostro nefasto presente – “fanno i comodi loro in casa nostra”. In tutti i sensi. Chi deve capire, capisca.
Nel film di Baker si spandono gli echi della commedia di Billy Wilder. Come fossimo ne L’appartamento, il co-protagonista dell’opera tiene ancorati gli spettatori e il protagonista al cinismo della realtà. Lì, c’era Shirley MacLane, qui, c’è Juri Borisov (Igor’, per l’appunto) a rompere i tempi della commedia con le sue constatazioni, ed è sempre lui a riportare Anora alla realtà dei fatti, nel brusco epilogo del film.
La nobiltà formale di Sean Baker, tuttavia, non è avvalorata da uno sguardo sui personaggi convincente. Innanzitutto, il suo occhio sul mondo del sex-work, è vecchio di un decennio. Come nel precedente Tangerine, Baker racconta un diverso stereotipo della prostituzione, e alle dinamiche di potere implicite nel rapporto erotico uomo-donna. Non è pervenuta inoltre una visione del sesso a pagamento legata, neppur allegoricamente, a OnlyFans e derivati. Manca insomma, uno sguardo puntuale sul tema, su come il sex-work virtualizzato, nel 2024, sia un’operazione di lucro sulla solitudine degli uomini etero.
Non è pervenuta, sporadicamente, alcuna forma di delicatezza nei confronti della protagonista. Anora è l’unico personaggio femminile del film, subisce inevitabilmente abusi verbali e fisici da parte degli uomini del racconto. Talvolta, l’atteggiamento di questi ultimi nei suoi confronti, risulta gratuitamente umiliante. A Baker non interessa preservare la dignità della sua protagonista.
In antitesi a tanti suoi colleghi, uomini, che nel corso di quest’anno hanno raccontato racconti epici al femminile con una delicatezza splendida: Paolo Sorrentino, Yorgos Lanthimos.
Perché in fin dei conti, Anora è Cenerentola. E a mezzanotte la magia svanisce, in quello che è stato, un sogno lungo un giorno.