Poche settimane fa eravamo qui a parlare di Sick of myself, giunti a fine novembre un altro lungometraggio di Kristoffer Borgli è arrivato in sala: Dream scenario.
Il protagonista è un Nicolas Cage invecchiato, senza capelli e con un’ispida barba grigia. Il film è, senza nasconderlo più di tanto, una riflessione, parziale, sulla carriera dello stesso Cage. L’attore americano è purtroppo noto ai più per essere diventato un meme in molte delle sue interpretazioni meno riuscite. Basti pensare ai vari Il prescelto e Stress da vampiro.
Da quasi vent’anni tuttavia Nicolas Cage le sta provando tutte per scrollarsi di dosso questa infausta reputazione, prendendo parte a progetti d’autore coraggiosissimi (Mandy, Prisoners of Ghostland, ma anche lo stesso Dream scenario).
Sfortunatamente però, parlando con la maggior parte delle persone è innegabile come, per il grande pubblico, lui sia ancora “il meme vivente” o “il re dell’over-acting”, sebbene abbia dato prova del suo talento già da prima degli anni ‘2000, basti pensare alle collaborazioni con David Lynch, Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, per citarne tre che passavano di lì per caso.

In Dream scenario interpreta proprio un uomo-meme. Paul, un docente universitario è protagonista di un fenomeno epidemico singolare: la maggior parte delle persone nel mondo lo ha sognato almeno una volta.
Questo lo rende un fenomeno social/televisivo che diventa virale, al punto da trasformarlo in un appetibile testimonial per grandi brand. Tuttavia, quando il suo comportamento nei sogni degli altri prende una piega più cupa, la cosiddetta cancel culture lo esclude da qualsivoglia interazione sociale.
Quando non sei più interessante, nulla potrà farti tornare in carreggiata, secondo il terrore raccontato da Borgli. Non importa quanto tu possa provare a cambiare l’opinione della massa, un’etichetta non ti si stacca di dosso e una reputazione non può di certo essere riconquistata. E per raccontarlo il cineasta norvegese sceglie una star che rappresenta l’incubo della viralità.
Si sprecano ovviamente i parallelismi tra l’epidemia onirica e quella da Covid-19, così come ai sinonimi del concetto di viralità, assoggettabile sia a una malattia che a una rapida diffusione globale di storie, concetti, video, immagini, meme.
Kristoffer Borgli ci sta già abituando ai temi del suo cinema, fatto di paranoie e ansia sociale. La sua forza sta nel voler raccontare il presente, esponendo ogni preoccupazione in merito ai tempi che corrono che gli bazzica per la mente. In un’industria artistica nella quale la maggior parte dei grandi autori scappa dal presente, rifugiandosi nei film in costume (Scorsese, Sorrentino, Chazelle, Campion, Cuaron, solo per citarne qualcuno) Borgli non vuole uscire dalle sue preoccupazioni presenti.
Al netto di una soluzione narrativamente valida per il finale del film, molti enigmi della storia rimangono irrisolti. O meglio, l’unica soluzione possibile risiede nella sola lettura allegorica dei fatti. Da un punto di vista pratico invece mancano dei pezzi.
Questo è l’unico paradossale difetto di Dream scenario, funzionare con convinzione sul piano metaforico, perdendosi però nella sua essenzialità cinematografica.
Nel complesso però, un altro passo convincente per Borgli, che traccia un seguito coerente da un punto di vista tematico rispetto al precedente Sick of myself, che resta una vetta di questo 2023 cinematografico.