Passages di Ira Sachs è disponibile su Mubi, ed è uno spettacolo pietoso lungo su per giù novanta minuti. Vede come protagonisti tre sex symbol del panorama del cinema d’essay come Franz Rogowski, Adèle Exarchopoulos e Ben Whishaw.
Rogowski interpreta Tomas, un regista che ha appena ultimato le riprese del suo nuovo lungometraggio, sul cui set ha conosciuto Agathe (la Exarchopoulos, una dea qui), con la quale intraprende un’avventura sessuale extra-coniugale. Tomas è infatti sposato con Martin (Ben Whishaw) da pochi anni, ma il matrimonio è già apparentemente agli sgoccioli. La relazione con Agathe è la prima eterosessuale per Tomas dopo molti anni.
Il film di Sachs è incerto sin dalla sua componente, in via teorica, più basilare: lo stile. Il suo rapporto con la macchina da presa è a dir poco promiscuo. In pratica non sa affermare mai un approccio univoco alla messa in scena. Talvolta le inquadrature sono fisse per tutta la durata della scena, senza concedersi a un’alternanza di campi diversi. Altre volte invece la cinepresa viene utilizzata a mano, con inquadrature tremolanti che schiacciano i personaggi a pochi centimetri dallo schermo.

Questo film, visivamente, ricorda a tratti Michael Haneke, ad altri tratti La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, il film che fece esplodere proprio la Exarchopoulos dieci anni fa. In sostanza le tecniche di ripresa in conflitto tra loro denotano una forte indecisione da parte del regista. Ed è a dir poco preoccupante considerando che questo è il suo nono lungometraggio. Alla faccia della maturità artistica.
Per quanto riguarda la componente narrativa, siamo dinanzi a un disastro. Novanta minuti, percepiti come centoottanta, se non come duecento. I tre protagonisti sono delle sagome tratteggiate, non hanno niente che possa in alcun modo denotarne una caratterizzazione, nemmeno abbozzata.
La bisessualità di Tomas lo porta a rincorrere disperati tentativi di equilibrio della propria vita romantica per tutta la durata della storia. Cerca qualcosa di diverso, quindi va con Agathe. La novità diventerà presto monotonia, quindi ecco che torna con Martin. Le responsabilità lo legano però a lei, ma ormai vuole lui. Lei, lui. Lui, lei. Bla, bla bla. Un’ora e mezza di fuffa.
Tra una scemenza e l’altra Sachs cerca di dipingere il suo protagonista come un improbabile paladino della famiglia queer, ovvero la famiglia di scelta, in contrasto con la tradizionale, in cui i legami di sangue ne determinano lo status.
I tre improbabili vertici del triangolo cercano di vivere sotto lo stesso tetto per accontentare quel bambino annoiato del protagonista. Piano che va a rotoli dopo una manciata di scene.
Passages è un bilancio della carriera di Ira Sachs. Al nono film non sa ancora cosa vuole fare da grande, cosa che il protagonista incarna. Un uomo adulto con una (presunta, siccome non viene mai toccato l’argomento) reputazione artistica che però non sa adempiere alle proprie responsabilità di marito/compagno/amante.
Nel tentare di disegnare un triangolo, il nostro, in preda a una confusione estatica, disegna una figura geometrica a caso. Applausi scroscianti accompagnano la delirante esecuzione.