Il primo film in lingua inglese di Pedro Almodovar, La stanza accanto, convince un po’ tutti, alla Mostra del Cinema di Venezia. Il maestro del cinema spagnolo porta sotto lo stesso tetto due muse assolute del cinema autoriale contemporaneo, come Julianne Moore e Tilda Swinton, oltre a John Turturro in un ruolo secondario.
La Swinton interpreta Martha, un ex reporter di guerra malata di cancro, al terzo stadio. Ormai le resta poco tempo e le cure sono insufficienti. Deciderà quindi di ingerire una pasticca per l’eutanasia, aggirando la legge. Per farlo, ha bisogno di qualcuno che le stia accanto, nella stanza più vicina, nella notte in cui sceglierà di togliersi la vita. Il fardello viene consegnato a Ingrid, un’amica giornalista che non frequentava da anni, interpretata dalla Moore.
Lei, Tilda Swinton, è straripante. Il suo dolore, il rapporto di codipendenza con immagini di morte e pensieri sulla trascendenza, colorano di grigio il mastodontico schermo della Sala Grande del Lido di Venezia. L’autocommiserazione sembra farsi pioggia, per bagnare ogni elemento presente in scena: i suoi stati d’animo sono inevitabili, per chiunque le stia attorno, come il pubblico in sala.
Chi però è chiamato ad affrontare tutto quel rumore, è Ingrid. Terrorizzata dall’idea di morire, ha appena scritto un best seller col quale sperava di esorcizzarla. Il lavoro di Julianne Moore, di conseguenza, è fatto di sottrazione, di slanci vitali trattenuti. La sfida della protagonista de La stanza accanto è ai limiti dell’horror realista. Costretta a convivere con la morte dell’amica tra le braccia è l’atto esperienziale di cui ha bisogno per ritrovare sé stessa, per superare il terrore del passaggio a miglior vita.
L’eccesso (sempre divinamente lirico nel parlato) di Tilda Swinton è colmato, completato, dall’eccesso di Julianne Moore, che si fanno tessere di una strutta a incastri, riuscendo a trovare l’angolo giusto per unirsi, man mano che la vicenda avanza.
Almodovar dal canto suo, ritrae le due quasi sempre in interni, per via dell’impossibilità di Martha di passeggiare in esterno. Nel tenerle in scena all’unisono, esclude sempre a priori la possibilità di separarle. Con un approccio quasi teatrale, Almodovar tiene continuamente di profilo le due donne, come a volerci rimandare a raffigurazioni funebri, come le incisioni in rilievo delle piramidi, o le illustrazioni delle necropoli.
La stanza accanto conduce nuovamente il suo regista sulla via della riflessione orrorifica della malattia, costruendo un lungo addio all’esistenza (privato) attorno a un tema sociale (pubblico) come il diritto all’eutanasia.
Il sollievo, ci mostra Almodovar, viene accolto dalla morente Martha solo nel momento in cui, per la prima volta da decenni, riuscirà a sentirsi l’esatta metà di qualcun altro: raggiunge uno stato di simbiosi con la sua Ingrid.
La stanza accanto punta dritto al Leone d’Oro.