Il trentesimo lungometraggio del Marvel Cinematic Universe è appena arrivato in sala, questa volta con un obiettivo ben preciso in mente: mettersi in ridicolo.
Essere in grado di esporre le proprie impressioni sul film è già di per sé un miracolo, con ogni probabilità molti spettatori rischieranno di passare a miglior vita durante la proiezione. Nella migliore delle ipotesi…
Sparare a zero su un’operetta di poco conto come Ant-Man and the Wasp: Quantumania (e se già il titolo del film è così prolisso) non rappresenta altro che l’ennesimo proiettile scagliato contro la fantomatica croce rossa. Fornire una testimonianza, tuttavia, può acquisire valore nel momento in cui l’aberrante pellicola diventa un pretesto per soffermarsi sulle cause che hanno condotto l’industria cinematografica al collasso.

Un prodotto semi-amatoriale
Guardare il nuovo capitolo di Ant-Man è imbarazzante, si ha la percezione di star assistendo a un tentativo raffazzonato di allestire un’opera di fantascienza, dove la casualità e la rapidità con cui si susseguono gli episodi narrativi prendono il sopravvento su ogni altra cosa.
Il film vede i quattro protagonisti del capitolo precedente appropinquarsi nella tana del Bianconiglio: il Regno Quantico. Scott/Ant-Man (Paul Rudd), Hope (Evangeline Lilly), Hank (Michael Douglas) e Janet (Michelle Pfeiffer) devono ritrovare la via di casa, impedendo al temibile Kang (Jonathan Majors), tiranno del Regno Quantico, di riuscire a liberarsi dalla sua prigionia. L’avventura carrolliana rappresenterà per Scott un’opportunità per legare con sua figlia Cassie, che seguirà i quattro improbabili eroi nel loro viaggio.
Raccontato in questi termini potrebbe suonare come una giocosa filastrocca ed è proprio questo il problema: Ant-Man sembra una storiella raccontata da un bambino in piedi su una sedia la sera di Natale. Banale, scapestrata, una completa idiozia senza capo né coda: questo è il risultato di uno sforzo economico e “creativo” costato circa duecento milioni di dollari.
Gli effetti speciali, che in molti considerano la punta di diamante dei film targati Marvel Studios, presentano talmente tanti errori da essere percepibili anche agli occhi di uno spettatore non allenato. Green screen fatiscenti, alieni che assumono le fattezze di vegetali, teste volanti assetate di sangue. Con ogni probabilità il team creativo del film abusava di stupefacenti sul posto di lavoro.
Il film precipita in una spirale di inutilità a partire dai primi minuti, introducendo alla rinfusa i personaggi per scaraventarli in un battito di ciglia nel vivo dell’azione, senza soluzione di continuità. Il che risulta una mancanza di rispetto nei confronti di quegli spettatori andati in sala per schiacciare un pisolino.
Lucrando si impara (forse)
La vera mancanza di rispetto di Ant-Man and the Wasp: Quantumania, tuttavia, sta nel suo stesso concepimento. Riducendo il film all’osso, è impossibile non notare come l’intero racconto sia stato pensato soltanto per introdurre il “cattivo” interpretato da Majors, che giocherà un ruolo cruciale nei prossimi film della saga. Niente di più, niente di meno.
Non è ammissibile spillare banconote ai propri spettatori con la consapevolezza di vendere loro un prodotto vergognosamente superficiale, questa è la realtà dei fatti.
Ant-Man 3è il “massimo esponente” del fallimento di Hollywood e del mondo Marvel in toto. La casa di produzione targata (o forse marchiata) Disney non fa altro che sfornare film e serie tv che sembrano più dei grossi trailer che non delle opere compiute.
Ormai si ha l’impressione che i fan vadano al cinema soltanto per guardare le celeberrime scene dopo i titoli di coda, dalla durata di pochi secondi. C’è una relazione tossica che intercorre tra Marvel e i propri fan, un equilibrio precario che va avanti ormai da anni. Chi ne soffre maggiormente è il resto del pubblico, impossibilitato a godersi un buon prodotto di intrattenimento.
E francamente non c’è più spazio per i prodotti Marvel in un’industria che nell’ultimo anno è stata testimone di successi quali The Batman, Everything Everywhere All At Once e Top Gun: Maverick, tre esempi di come l’intrattenimento di qualità sia ancora vivo.
La dichiarazione rilasciata nel 2019 da Sua Santità Martin Scorsese a proposito dei “Marvel Movies” riecheggia nell’aria in questo momento. Nel corso dell’intervista diventata iconica li ha definiti “attrazioni da parchi a tema progettati per un pubblico specifico” e che per tanto non li considera cinema.
Francamente c’è poco da aggiungere, se non: “Dal Vangelo secondo Scorsese.”