Il gladiatore II conferma una splendida ricorrenza del 2024 cinematografico: solo sequel di qualità. Ridley Scott, ventiquattro anni dopo, torna ai personaggi de Il gladiatore, il più grande successo del suo mezzo secolo di carriera. Torniamo all’Impero Romano, vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, per seguire la storia di uno schiavo, Annone, valoroso soldato cartaginese, deportato nell’Urbe.
Il film originale, uscì nel 2000, nell’anno della transizione dal governo Clinton II al primo governo Bush/Cheney. Il racconto tra le righe, ne Il gladiatore era quello di un uomo di potere, Marco Aurelio, che desiderava riportare Roma ai fasti repubblicani. Commodo, il legittimo erede, rappresentava l’ombra di una forza sovversiva che si stata insidiando nel ventre dell’impero.
I medesimo presupposti, del decennio del terrore bushiano.
Scott, tornando a riflettere sulla mitologia del “suo” Impero Romano, raccontando come quei presupposti, vent’anni dopo, siano degenerati, analogamente alla realtà a noi contemporanea: l’ascesa del populismo, come a Roma così a Washington, ha riportato il potere tra le mani delle destre estremiste. Roma, ne Il gladiatore II, esporta democrazia, dunque morte, in Nordafrica. Salvo poi rientrare in Italia, con bastioni carichi di schiavi.
Un genio del cinema come Ridley Scott, apre il suo kolossal con questa immagine, dichiarando sin dalle prime battute dell’opera il suo intento: cercare un filo rosso che unisca l’Impero agli Stati Uniti dei “trumpies”. Siamo negli anni di Caracalla, che appare per la prima volta a schermo ricordando al generale dell’esercito come il popolo vada nutrito con sangue, odio e ferocia.
Il Colosseo de Il gladiatore II, ancor più del suo predecessore, mette in scena il rapporto perverso tra spettatore (plebeo) e gladiatori, come fosse uno spettacolo di WWE: eccessivo, tragicomico, epico: intrattenimento. Dagli spalti, il pubblico imita in continuazione IL gesto cult del primo Gladiator: il pollice in giù con cui Commodo condanna a morte i guerrieri.
L’emulazione, la necessità di omologarsi a un gesto, a una depravazione ideologica, è centrare nel film di Scott, che è da sempre uomo e pensatore affranto dalla natura dell’uomo. Il suo cinema, anche nelle parentesi meno riuscite, si pone sempre il medesimo interrogativo: qual è il più grande male mai capitato all’uomo?
Il più grande male mai capitato all’umanità, è l’umanità stessa.
Il racconto de Il gladiatore II è quello di due immigrati: Annone e Macrino, Paul Mescal e Denzel Washington. Quest’ultimo incarna, nell’America di oggi vista da Ridley Scott, l’elemento di rottura: la minoranza che si imborghesisce affiliandosi a un’ideologia che ripudia quelli come loro. In poche parole, l’afroamericano che vota Donald Trump, l’ossimoro.
Un barlume di speranza però, c’è. In uno dei momenti più forti della stagione cinematografica in corso, durante il duello tra Paul Mescal e Pedro Pascal, Scott eclissa il tempo. Mentre dagli spalti, emulando il pollice in giù di commodiana memoria, il popolo chiede lo spargimento di sangue, i due uomini, rifiutano l’epica del gladiatore, rifiutano il machismo implicito nel conflitto tra due corpi maschili.
Mentre il mondo collassa su sé stesso, ci saranno sempre due uomini disposti a deporre le armi, per inginocchiarsi, avvicinarsi. Amarsi.