Dreamworks torna a proporre al pubblico una nuova IP d’animazione con Il robot selvaggio, in uscita giovedì 10 ottobre, forte di un ottimo riscontro da parte del pubblico in seguito ai due weekend di anteprime appena conclusi.
Bisogna iniziare ad accettare la realtà dei fatti: il 2024 è stato l’anno dei robot, nel contesto dell’animazione. Il robot selvaggio infatti dà seguito all’eccellente tenitura in sala da parte de Il mio amico robot, candidato all’Oscar lo scorso marzo.
Se lo splendido titolo spagnolo, di cui sopra, si collocava nel filone dell’animazione per adulti (potete trovarlo a noleggio su Prime Video), il cartoon Dreamworks ha delle pretese commerciali nettamente più ambiziose, rivolgendosi, dunque, alle famiglie.
Il robot ambientalista
L’impianto narrativo de Il robot selvaggio è dei più essenziali: un’androide, “Roz”, naufraga sulle rive di un’isola libera dal dominio umano, in cui la natura regna incontrastata. La caratteristica della protagonista cibernetica è quella di eseguire dogmaticamente gli incarichi previsti dal proprio sistema operativo. Incarichi, dediti all’assistenza del prossimo, in primis. Incapace di comprendere la natura del luogo in cui è naufragata, inizia ad aiutare gli animali dell’immensa foresta con goffaggine.
L’avvicinamento a un’ochetta neonata, la cui famiglia è stata “accidentalmente annientata” da un errore commesso da Roz, porterà la macchina ad avvicinarsi – seppur gradualmente – al concetto di maternità.
Per farlo, per diventare madre (in antitesi alla “madre/matrigna” al comando della Nostromo dell’Alien di Ridley Scott) “Il robot tuttofare” deve diventare Il robot selvaggio, deve bypassare il proprio sistema operativo, ribellarsi alla propria programmazione.
Essere madre, spiega lo splendido film scritto e diretto da Chris Sanders (Lilo e Stitch, Dragon Trainer), non ha nulla a che vedere con la predestinazione, né con la predisposizione genetica. La maternità, è una scelta libera da preconcetti – o almeno dovrebbe esserlo – a discapito di conservatorismi vari, soprattutto legati ai canoni propinati ai ragazzini attraverso il cinema d’animazione, statunitense, sin dai suoi albori.
Un nuovo classico per la Generazione Alpha
Un titolo come Il robot selvaggio, in un mondo in cui industrie cinematografiche arretrate, propongono pellicolette inconcepibili come Vermiglio agli Oscar, è ideologicamente fondamentale. L’animazione, quando giudicata dal pubblico adulto, viene analizzata da un punto di vista analogicamente inappropriato. Quello Dreamworks, è un cinema indirizzato ai più piccoli, “noi”, siamo d’intralcio, talvolta.
Decodificando l’opera con gli occhi del suo pubblico di destinazione, i ragazzini, risulta tangibile come una storia fatta di genitori non convenzionali (una volpe di sesso maschile e un androide senza sesso biologico), di amore tra razze e corpi incompatibili, nonché di inadeguatezza alla propria predisposizione naturale è, per un pubblico di “neofiti alla vita”, rivoluzionario.
Insegnare ad amare, attraverso il cinema, l’inadeguatezza e accettare il fatto che il mondo di domani appartenga alle madri, è l’approccio più educativo che potremmo mai tentare, nei confronti di questa generazione.
Il terzo atto del film inoltre, esalta una componente action dinamica e coinvolgente, che non ha nulla da invidiare al cinema action di spessore.