Tár è il terzo lungometraggio da regista di Todd Field. La pellicola è stata presentata (in concorso) alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia. Cate Blanchett è stata insignita della Coppa Volpi alla miglior interpretazione femminile. Inutile specificare che l’opera di Field è stata senza ombra di dubbio una delle migliori scoperte del concorso principale di Venezia 2022, nonché una delle esperienze cinematografiche più sorprendenti degli ultimi anni.

Un’analisi spietata sul Me Too
L’epopea narrata è quella di Lydia Tár, personaggio di finzione descritto fin dalla sequenza iniziale come, citando testualmente, “la più grande compositrice musicale del nostro tempo”.
Incontriamo Lydia all’apice della sua carriera professionale. Prima direttrice capo donna della Filarmonica di Berlino, sta per centrare il più ambizioso obiettivo della sua carriera: incidere la quinta sinfonia di Mahler dal vivo, completando un intenso ciclo di reincisione di tutte le otto sinfonie firmate dal maestro austriaco.
Tuttavia, una notizia nefasta in merito a una ex amante di Lydia ne comprometterà la carriera.
Todd Field apre al pubblico una finestra sulla vita della Tár. Ci consente non solo di viverne la quotidianità, ma di entrare a far parte con perversa complicità, dei suoi rapporti sentimentali e lavorativi (che quasi sempre coincidono), soprattutto quando questi vengono plagiati dalla manipolazione emotiva che Lydia esercita su di essi.
Il Petroliere di Paul Thomas Anderson
Il fulcro dell’opera è di fatto questo: analizzare in chiave antropologica gli effetti che il potere esercita su un modello apparentemente positivo come quello di una self made woman dal talento artistico encomiabile, citando in tutto e per tutto Il Petroliere di Paul Thomas Anderson.
Appellandoci ad articoli, più o meno autorevoli, presenti in rete sulle principali testate italiane e internazionali, risulta evidente come Tár abbia suscitato pareri contrastanti. La metaforica “mela della discordia” è la presunta visione misogina di Field sull’ascesa al potere delle donne a Hollywood negli ultimi anni. Francamente, reputare Tár un film misogino significa, con ogni probabilità, avere limiti cognitivi.
La visione dell’autore sbandiera dal primo all’ultimo fotogramma il suo scetticismo nei confronti dell’essere umano, non della femminilità.
Lydia Tár è un personaggio estremamente frustrato sul piano affettivo. Una predatrice sessuale alla costante ricerca di ragazze più giovani da soggiogare e ricattare in cambio di favori professionali. Il matrimonio con Sharon, primo violino della sua orchestra berlinese, si regge su un castello di menzogne. Per non parlare del rapporto con sua figlia Petra, con la quale riesce ad avere un rapporto soltanto sporadicamente a causa degli impegni lavorativi.
Lydia Tár ha bisogno di sentirsi il centro dell’universo per tutti quelli che fanno parte della sua vita. Chi rifiuta questo schema viene esiliato dal “Regno del Sole”.
Nel regno del terrore
Il regno del terrore della compositrice è destinato a crollare, da un momento all’altro. Questo pensiero subliminale si annida nelle menti degli spettatori sin dalle prime immagini del film, accompagnandoli nella spirale del fallimento della Tár, cancellata dal giorno alla notte dallo Star System e dall’élite delle grandi orchestre.
Todd Field non individua affatto la ragione dietro al declino della protagonista nella presunta inferiorità del genere femminile, tuttalpiù considera il fallimento come un passaggio ineluttabile nella vita di un personaggio di potere, uomo o donna che sia.
Nell’ultimo decennio molti prodotti artistici, televisivi e cinematografici, hanno tentato di raccontare il declino dei propri protagonisti. Per questo hanno citato, esplicitamente o implicitamente, Ozymandias, il faraone Ramsesse II, omaggiato da Percy Bysshe Shelley nell’omonimo componimento. Basti pensare a Breaking Bad/Better Call Saul piuttosto che ad Alien: Covenant di Ridley Scott.
In un certo senso, Field ha deciso di ereditare il concetto dietro la poesia di Shelley, dandone una rilettura applicata all’epoca del Me Too.
Ritorno alle radici
Ogni uomo o donna verrà avvelenato dal potere. La fama va soltanto assaporata, deve essere sputata via prima che sia troppo tardi. Per parafrasare un altro film epocale presentato lo scorso anno a Venezia: Bardo, di Alejandro González Iñárritu.
La parabola discendente di Lydia Tár raggiunge il suo “apice” quando, negli ultimi minuti di film, viene fatto notare un dettaglio: “Lydia” è solo uno pseudonimo, il suo vero nome, le sue origini, risalgono a galla.
Ne La Città Incantata di Hayao Miyazaki, i servitori della perfida Yubaba possono riacquisire la libertà soltanto dopo aver ricordato il proprio nome.
In un certo senso, è quello che è successo anche a Linda “Lydia” Tár, con le dovute proporzioni.