«Un’opera d’arte non dà risposte alle domande, le suscita. Il valore sta nella tensione delle risposte contraddittorie»
– Leonard Bernstein
La seconda regia cinematografica di Bradley Cooper, che qui scrive e produce anche, racconta il travagliato rapporto coniugale tra Leonard Bernstein (lo stesso Cooper) e Felicia Montealegre (Carey Mulligan, qui in stato di grazia). Lei stella di Broadway, lui il più grande compositore americano di sempre.
Non nascondiamoci e affrontiamo la realtà dei fatti: Maestro è uno spettacolo di 131 minuti che consacra Cooper come un autore con la A maiuscola. Partendo dal titolo, forviante, col quale tende un inganno al pubblico. Vediamo la scritta “Maestro” solo alla fine del film, come a indicarci che la vita del Maestro Bernstein inizia dopo quella di Felicia, la vera protagonista della storia.
Perché lei vive nella sua ombra, come mostrato da un’inquadratura in cui la Mulligan, dietro le quinte del palco, viene letteralmente contenuta all’interno della gigantesca ombra di Bradley Cooper che dirige l’orchestra. È dentro la sua ombra, come una prigione, sì. Ma, basandoci sul contenuto dell’immagine, Felicia illumina l’ombra che la tiene prigioniera.
Questo è solo uno dei tanti frangenti in cui le immagini di Matthew Libatique, direttore della fotografia che segue Cooper dal 2018, parlano al posto delle parole. Visivamente Maestro è tanto fragoroso quanto le opere di Bernstein, con intere scene contenute spesso in una, talvolta due inquadrature, glorificando così le interpretazioni e il design di scenografie e costumi. Volendone individuare un significato, il fatto che le scene in cui Leonard e Felicia discutono siano girate con un unico punto di vista dissimula la prospettiva di uno spettatore a teatro, suggerendoci che siamo nel mondo di Felicia, non in quello di “Lenny”.

Il rapporto di coppia, clamorosamente, non viene mai idealizzato. Il loro è un matrimonio fittizio, da un punto di vista sessuale. Bernstein è omosessuale, da molti definito come “un gay che si è sposato” come a indicare un matrimonio di copertura. L’ideale che il film divulga, però, è quantomeno più dolce.
Leonard Bernstein di Bradley Cooper è un vulcano attivo, con rari momenti di quiescenza, di depressione, innamorato delle persone. Vederlo trascorrere del tempo con amici, piuttosto che in famiglia, non lo dipinge come un impostore in un contesto che lo opprime, anzi. Sembra in un movimento perenne che oscilla tra gratitudine alla vita e gioia della convivialità.
Lo stesso rapporto con Felicia è sentito, affettuoso nella su accezione più pura. È però più un rapporto platonico, che non familiare o sessuale nella sua accezione più tradizionale.
In antitesi alla prima regia di Cooper, A star Is born, la coppia protagonista non crea un legame empatico col pubblico, non viene mitizzata tramite il filtro dello strumento cinema. La coppia di Maestro è una coppia qualunque, incollata a forza, fallace, ambigua.
Il Bradley Cooper regista non ci racconta dei successi lavorativi del compositore statunitense, li elenca solo, al contrario fa scendere il dio greco Bernstein dal crepuscolo degli dei. Lo dipinge per quello che è: un uomo terrorizzato dalla solitudine, condannato a una consapevolezza differente da quella degli altri.
Maestro è un film sulla salute mentale. Non lo spiattella in faccia al pubblico, viene però (ma è naturale che avvenga nella stesura di una sceneggiatura) palesato in un paio di momenti, apici, della storia. In tutto il restante dell’opera la tendenza all’annichilimento di Leonard Bernstein non viene mostrata, viene tenuta nascosta, in quanto tabù, come da sempre. Scena dopo scena, il “disegno più grande” di Bradley Cooper e del co-sceneggiatore Josh Singer conduce al vero cuore del loro lavoro, la depressione del personaggio. Messa in luce dall’unica in grado di guardare oltre alle corazze dell’animo: Felicia, sua moglie.
Al termine di una sequenza mozzafiato in cui Bernstein dirige la sua leggendaria Messa, corre da Felicia in prima fila per abbracciarle. Lei gli sussurra all’orecchio: “non hai odio dentro di te.”.
Ciò che ogni essere umano vorrebbe sentirsi confidare, durante la più buia delle notti.