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Home » Megalopolis: la fiaba di Francis Ford Coppola sa più di incubo

Megalopolis: la fiaba di Francis Ford Coppola sa più di incubo

by Giuseppe Parrella
Ottobre 18, 2024
in Cinema, Intrattenimento
Reading Time: 4 mins read
480 15
megalopolis
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Un progetto atteso per quarant’anni

Francis Ford Coppola, come un moderno Icaro, ha scelto di toccare il Sole col palmo di una mano per realizzare Megalopolis, sul quale ha investito 120 milioni di dollari di tasca propria. Il regista di Apocalypse Now e Un sogno lungo un giorno lavorava al progetto da più di quarant’anni. Alcuni imprevisti, nel corso dei decenni, fecero naufragare la produzione del blockbuster in almeno due occasioni. Ka seconda volta in particolare, il Megalopolis di Coppola rientrò nei “tagli editoriali” che Hollywood effettuò in seguito ai fatti dell’11 settembre 2001.

Finanziare un’opera costosissima, incentrata sulle gesta di un architetto incaricato di ricostruire New York in seguito a degli attentati – nell’immediato post-11 settembre, a un passo dalla conseguente politica della Lotta al terrore di George W. Bush – non sarebbe stata la decisione più brillante, per degli investitori all’epoca.

Oggi, con due decenni di ritardo, il regista cinque volte premio Oscar ha posto un veto: “se nessuno dovesse concedermi i fondi, produrrò la mia opera in autonomia”.

Così fu: la più grande autoproduzione della storia del cinema è arrivata nelle sale italiane, destinate ad accogliere poche centinaia di spettatori, proprio come accaduto nelle scorse settimane nel Nordamerica.

La civiltà prossima al collasso

Megalopolis pone sotto la lente d’ingrandimento un futuro distopico, in cui New York diventa New Rome: una metropoli che si ispira -in particolare nella propria struttura gerarchica – all’Impero Romano. Una lastra fin troppo eloquente, posta all’ingresso del municipio della città recita: “Gli Stati Uniti, come l’Antica Roma, rischiano di collassare su loro stessi, gradualmente”.

La città è infatti scissa tra due fazioni: quella del potere, corrotto, capitanata dal banchiere Crasso e dal sindaco Cicerone, conservatori che preservano il capitale economico per il popolo grasso; dall’altro lato del ring (o del Colosseo a questo punto), Caesar Catilina, un architetto che sogna di costruire Megalopolis, un’utopia, una città in grado di modificare sé stessa in tempo reale, in base alle necessità dei suoi cittadini.

Una metropoli a misura d’uomo, che cresce assieme a quest’ultimo. Megalopolis verrà plasmata dal megalon, materiale scoperto dallo stesso Catilina, nel quale l’architetto “nasconde”, se così vogliamo intenderlo, l’amore per sua moglie ormai scomparsa.

La lotta di Catilina per edificare un futuro migliore per l’umanità, passa per un conflitto perpetuo coi poteri – economici e istituzionali – di New Rome, ritagliando comunque il giusto spazio alla componente necessaria alla costruzione di un’utopia: l’amore. Come nel Metropolis del 1927 a cui il titolo Megalopolis si rifà, la distopia di Coppola ruota attorno a un concetto: è il cuore ciò di cui l’umanità ha bisogno, per camminare verso un futuro radioso.

La lotta per creare Megalopolis

La storia di Caesar Catilina è la storia, tra le righe, dello stesso Coppola. Un artista infallibile che, attraverso la riscoperta dell’emotività – attraverso l’amore – troverà le forze necessarie a donare al mondo la propria utopia. Catilina, proprio come il regista, lotta contro i poteri forti per “creare” Megalopolis. Un progettista, dunque artista, terrorizzato dall’idea di compiere il passo decisivo verso il futuro. Un uomo che manipola il tempo, pur di rifiutare l’idea che il genere umano non ne abbia più a sufficienza.

Sarebbe splendido, poter descrivere Megalopolis come la speranzosa lettera d’addio da parte di una leggenda del cinema postmoderno, un testamento artistico e umanitario epico. Purtroppo, la realtà dei fatti è ben differente. L’opera, ricalca a pieno il precedente film di Coppola, Twixt (disastroso), rientrando nel filone “senile” della sua carriera.

Parlando di Megalopolis, si fa fatica a soffermarsi su un’analisi extra-testuale, siccome travolti da una quantità di errori madornali che annacquano buona parte del film. Al netto, però, di una prima metà sufficientemente solida, soprattutto, nei frangenti dedicati alla descrizione del mondo distopico. Gli Stati Uniti del film di Coppola, si reinventano, come da tradizione, appropriandosi di un’ennesima cultura, quella romana; da questo punto di vista, la chiave interpretativa è corretta, nonché intrigante.

I problemi però, passano per degli effetti visivi che ammazzano la narrazione visiva del film. Composizioni piatte, messe in scena che non coincidono con la fisicità e le forme dei personaggi, fondali che non combaciano tra di loro, da uno stacco di montaggio all’altro, stizziranno anche gli spettatori meno attenti. Il continuo alternarsi tra effetti pratici e computer-grafica, rendono Megalopolis un ibrido dalle due anime, con la prima, vagamente più credibile dell’altra.

I protagonisti del film, da Adam Driver e Nathalie Emmanuel, passando per Aubrey Plaza, Shia LaBeouf e Giancarlo Esposito, si avvalgono di una proprietà di linguaggio fatta di lirismo e citazionismi continui, rendendo francamente poco comprensibili alcune dinamiche, da un punto di vista narrativo e fonetico – anche nella versione italiana del film.

Ciò che meno convince, in assoluto, risiede nel tradimento che il protagonista Catilina perpetra ai suoi stessi danni: l’idealismo, l’utopia, viene meno, scena dopo scena. A conti fatti, Coppola dimentica le motivazioni dietro la genesi di Megalopolis, facendo sì che il suo eroe, diventi esattamente come gli altri: un arrivista. Così come lo sono, su tutti, le figure femminili della storia. Senza poi aprire la parentesi sul discorso, orripilante, che il regista mette in bocca a uno dei suoi personaggi in merito al movimento Me Too e ai processi alle intenzioni di stupratori e presunti tali.

L’avesse girato quarant’anni fa, staremo parlandi di un blockbuster epocale. Oggi, quello che abbiamo tra le mani, è il giocattolo multi-milionario di un regista incapace di accettare la realtà dei fatti: la sua storia, agli occhi di pubblico e investitori, non sembra necessaria, ma fuori tempo massimo.

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