Il nuovo (e forse ultimo) film di Roman Polanski ha lasciato sbalordito il pubblico della Mostra del Cinema di Venezia per i motivi sbagliati.
La storia è ambientata in un albergo di russo sulle alpi svizzere tra il 31 dicembre 1999 e il primo gennaio 2000. L’ansia del millenium bug terrorizza i villeggianti, miliardari sull’orlo del baratro assistiti dallo staff dell’hotel come fossero neonati col pannolino sporco.
Trovare le parole giuste in merito a quest’operetta di poco conto è un’impresa. Polanski confeziona a novant’anni da poco compiuti l’opera (o una delle) più controversa della sua gigantesca carriera. Non si capisce bene cosa abbia cercato di portare a casa. Sta di fatto che The Palace è in tutto è per tutto un cinepanettne. Sì, una sorta di seguito spirituale di Vacanze di natale a cortina del 2011.
Il dubbio che devasta critica e pubblico è uno: è per caso uno scherzo? Insomma, Polanski ha volontariamente girato un film nelle intenzioni demenziale per prenderci tutti in giro? Il discorso anagrafico è da scartare a priori, c’è poco da dire, le opere dell’ultimo Polanski, quelle dagli anni ‘2000 al precedente L’ufficiale e la spia del 2019 sono, tra alti e bassi, tra le migliori della sua carriera.
L’ufficiale e la spia era un dramma profondamente complesso sul senso di giustizia oggettiva in contrapposizione a quella istituzionale, viziata da dissapori politici e atti persecutori ingiustificati (il Caso Dreyfus).
Quattro anni dopo, The palace sembra essere stato diretto da un altro autore. La sceneggiatura è stata firmata a sei mani dal regista polacco insieme a due altre leggende del cinema polacco, Jerzy Skolimowski ed Ewa Piaskowska, prima collaborazione tra Skolimowski e Polanski dai tempi del primo film di quest’ultimo, Il coltello nell’acqua del ’62.

Alcune delle situazioni comiche proposte dal film, questo va ammesso, sono effettivamente simpatiche, piacevoli a tratti. Giunti a metà della narrazione però ci si aspetterebbe che la storia trovi qualcosa da raccontare. Il problema principale di The palace è proprio quello: non racconta niente.
Non emerge nemmeno una sottospecie di critica rivolta alla piccola aristocrazia incarnata dagli ospiti dell’hotel, né tantomeno viene costruita tensione attorno all’evento epocale della mezzanotte a cavallo tra i due millenni. Gli eventi si susseguono come se nulla fosse, inseguendo soltanto il flusso di una comicità spiccia al limite del demenziale.
Per quanto non sia un film riuscito in tutto e per tutto, Triangle of sadnessdi Ruben Östlund, Palma d’Oro a Cannes 2022, ricorda pedissequamente il nuovo film di Polanski. The palace è una squallida imitazione del suo predecessore svedese. L’unica differenza? Qui c’è un albergo al posto di uno yatch.
Con ogni probabilità il dubbio rimarrà a torturare i cinefili di tutto il mondo per sempre: Polanski ci ha preso in giro oppure ha girato questo obbrobrio con cognizione di causa? L’impressione è che abbia tentato scrollarsi di dosso la corazza del grande autore qual è, forse per non farsi prendere troppo sul serio per una volta.
Reminiscenze di Venezia 2022 riaffiorano. È proprio come quando Lars Von Trier ha presentato The Kingdom: Exodus con lo stesso presupposto: prendere in giro gli spettatori. In quel caso, tuttavia, c’era molto più gusto e il declino dell’austerità dell’opera era graduale.
Una cosa è certa, è triste pensare che questa sia la conclusione della filmografia di uno dei più grandi di tutti i tempi.