Il ritorno di Emmanuel Mouret al Lido di Venezia passa per Trois amies, dramma alleniano di produzione francese, ambientato interamente in una Lione asettica, che sogna Manhattan (isola) e Manhattan (capolavoro classe 1980) e che in realtà non riesce a spingersi neanche fino a Digione.
Mouret torna ad avvalersi della messa in scena (quasi vagamente) teatrale che contraddistingue i propri lavori. Arrivando al consueto risultato finale, di un prodotto che rasenta la vacuità fotografica tipica delle nostrane fiction da reti pubbliche.
Ogni composizione tradisce il senso primario, la natura stessa del cinema (ricerca di prospettive), con ritratti di coppie di personaggi perfettamente in asse, in bolla, riempiendo perfettamente i margini dell’inquadratura con i corpi, senza disfarli o distorcerli, men che meno tagliare fuori dallo shot un piede, una gamba, o un bacino.
Se non altro, la messa in scena piatta di Trois amies rispecchia il ritmo della narrazione. Jean, Rebecca e Alice sono tre amiche, con le prime due che lavorano insieme in una scuola media come docenti, mentre la terza si occupa di sorvegliare le sale di un museo.
Il trio indissolubile frutto della penna di Mouret trascorre i 120 minuti che compongono la pellicola a pugnalarsi alle spalle vicendevolmente, senza mai mostrare la lama incrostata di sangue all’altra, fino all’ultimo taglio.
L’ipocrisia del rapporto a tre innesca un motore narrativo che non parte mai o che, se volessimo far finta che parta, è lapalissiana in ogni sua sfaccettatura.
L’inversione di ruoli, posizioni (subliminalmente anche sessuali) tra le protagoniste e gli uomini che orbitano attorno a loro, costituiscano una jenga, una torre di legnetti posti l’uno sopra l’altro. Una volta sfilato il primo legnetto però, la torre crollerà al suolo, se supervisionata da un giocatore non all’altezza, come il regista di Trois amies.
Ciò che davvero non convince in un dramma di piena Generazione X, sta nella sua morale che, per l’appunto, asseconda bonariamente la filosofia di vita di quest’ultima. Accettare con fatalità i tradimenti, separazioni e divorzi. Farfugliare parole al miele per restare buoni amici coi propri ex (mariti, fidanzati, amanti), soprattutto però, accontentarsi del poco che si ha tra le mani, lasciar appassire le proprie ambizioni.
Le donne di Trois amies non sono in grado (o non sono interessate) di vivere senza una figura maschile che dia loro serenità accanto. Mentre gli uomini, gelosi, assenti o evasivi, riescono benissimo a cavarsela senza di loro. Dov’è l’empowerment femminile del XXI secolo, della Gen-Z? Ha davvero senso continuare a comporre un ritratto mitigato della bambinesca Generazione X?
Ha comunque meno senso del rifarsi sbrigativamente agli stilemi del primo Woody Allen. Tranquillo Emmanuel, non se n’è accorto nessuno, torna pure a dormire.