Ecco la rivelazione di Venezia 80: Die Theorie von allem del semi-esordiente Tim Kroger. Il regista austriaco nasce come direttore della fotografia, salvo poi virare sulla regia, strada che lo ha portato a confezionare alcuni cortometraggi, un documentario e un lungometraggio di finzione nel 2012.
Die Theorie von allem rappresenta la sua prima grande opportunità lavorativa. Di fatto, questo è il suo primo lungo professionale e il risultato, a essere franchi, è sbalorditivo. La prima fatica di Kroger si inserisce con personalità nel filone narrativo dei multiversi, di cui abbiamo ampiamente parlato nei mesi scorsi.
Il film è ambientato sulle alpi svizzere nel 1962, dove un promettente fisico alle prime armi ha intenzione di portare a un livello superiore le teorie di Schrödiger, così da mostrare al mondo la propria scoperta: il multiverso.
Il presupposto del film lascerebbe pensare a una “risposta” autoriale al filone del multiverso cinematografico, ebbene questo è solo il contorno del film che, nel suo animo e nella sua forma, si rivela un noir mozzafiato.
La fotografia in bianco e nero ricorda classici del genere degli anni ’40 e ’50, come Lo straniero di Welles, Il grande sonno di Hawks e La morte corre sul fiume di Laughton. Per non parlare delle tante similitudini con Eraserhead di David Lynch e la trilogia del male di John Carpenter.
Il giovane fisico infatti si ritroverà al centro di un enigma al limite del delirio demoniaco, che vede al centro dei misteriosi casi di morti e sparizioni. La ricerca della fantomatica soluzione tuttavia, con grande stupore del pubblico in sala, condurrà l’eroe/investigatore a scontrarsi con una verità ben più agghiacciante.
L’archetipo tipico del noir classico prevede la contrapposizione tra una figura positiva e una negativa, vincolate da una figura femminile che nasconde dietro la propria insicurezza delle sconcertanti verità. Nell’opera di Kroger la personificazione/oggettificazione del male impiega molto tempo a venir fuori e anzi, in un certo senso non sarebbe inopportuno sostenere che il male non c’è in questo noir.
Ed ecco la rottura dello stilema di genere: il male in Die Theorie von allem è un male metafisico, lovecraftiano a tutti gli effetti. Il vero male cui va incontro il protagonista è un male ancestrale, che risveglia in lui un terrore atavico, come negli scritti di H.P. Lovecraft per l’appunto.
L’eroe si presta al ruolo del detective ai fini narrativi, sebbene il suo animo sia quello di un uomo di scienza, scaturisce un attrito esistenziale nel suo animo, dettato da un fattore ben preciso: la conoscenza.
Come già discusso in merito a Oppenheimer la scoperta conduce gli uomini di scienza all’esasperazione, questo concetto viene ribadito da Die Theorie von allem. La scoperta di un orrore “superiore” insito nelle viscere della terra è ciò che conduce il protagonista alla reclusione, all’ossessione per la scoperta di una verità legata tanto al multiverso tanto quanto ai misteri delle alpi svizzere, che non troverà mai risposta, probabilmente.
Kroger eredita lezioni vecchie di un secolo, riadattandole al cinema del presente, alle sue preoccupazioni e alle sue mode. Visivamente maestoso, concettualmente elevato, questo giovane autore va tenuto sotto una teca di cristallo. Chi bene inizia è già a metà dell’opera, chissà cosa ci riserverà in futuro.
